“Gli artisti come Raoul non moriranno mai, rimarrà sempre vivo nella sua musica e nelle sue canzoni che viaggiano nell’aria e continuano a esistere. Oggi è un giorno triste per la Romagna, per tutta Italia, per la musica popolare. Raoul era in forma come un ragazzino, era attentissimo al suo stato di salute che era perfetto. Faceva 10-15 chilometri tutti i giorni a piedi con le racchette. È uscito dalla sua vita con un vero colpo di scena, improvvisamente. Se ne è andato via per il Covid rapidamente e non ha sentito niente. È un dolore forte per me, ma è mitigato dal fatto che mi sono reso conto che lui non potrà mai morire veramente. Il suo modo di essere e le sue canzoni sono nell’aria e continueranno a esserlo”.
(Mirko Casadei, figlio di Raoul e continuatore dell’Orchestra Casadei. Messaggio vocale inviato al TG dell’Emilia Romagna)
Giuseppe Zois
E così, in un giorno che sapeva già di primavera e della letizia che questa stagione sa irrorare in animi oggi più che mai bisognosi, quella brutta bestia di covid-19 si è presa anche lui, Raoul Casadei. Chissà perché, pensando a lui, viene in automatico una strofa di una frizzante poesia di Angelo Silvio Novaro che canta le stagioni. II re riconosciuto del liscio era l’immagine della prima stagione dopo l’inverno:
“Primavera vien danzando
vien danzando alla tua porta.
Sai tu dirmi che ti porta?
Ghirlandette di farfalle,
campanelle di vilucchi,
quali azzurre, quali gialle;
e poi rose, a fasci e a mucchi”.
In anni ormai remoti i maestri delle elementari la facevano studiare a memoria: rime facili e scorrevoli che si imparavano facilmente. Raoul era un’icona di questa vellutata leggerezza: era la gioia di vivere con la sua carica di vitalità, il sorriso e l’allegria. Ogni sua canzone è straripante di questi contenuti. Crudelmente, l’inverno si è preso uno sconfinamento. Parafrasando Nada, mentre nella terra di questa dinastia musicale – Cesena – è tutta una fioritura di peschi, che sono i messaggeri della ripartenza della natura, è scesa repentina “la notte con le sue mani fredde” a portarsi via Raoul. Avrebbe fatto 84 anni in agosto: da una decina di giorni era stato ricoverato all’ospedale Bufalini di Cesena, dove guarda caso, per un’altra combinazione del destino, è giunto di lì a poco un altro cantante-simbolo dell’Emilia Romagna, Gianni Morandi, ustionatosi mentre stava bruciando sterpaglie vicino a casa sua.
Il quartiere-base dei Casadei è in un nome che sa di chiuso – “il Recinto” a Villamarina di Cesenatico – mentre il musicista era l’idea stessa dell’apertura, di orizzonti luminosi e infiniti. L’orribile virus poliglotta, che ora parla anche l’inglese, ha contagiato 14 su 15 componenti della numerosa famiglia del patriarca riconosciuto: la moglie Pina, i figli Carolina, Mirna e Mirko e 11 altri discendenti/parenti. Unico risparmiato: il figlio Mirko, colui che nel 2001 ha preso le redini dell’impero avviato dallo zio Secondo e consolidato dal figlio Raoul, che per 17 anni, prima della musica aveva insegnato nelle scuole elementari. Dopo aver fatto scuola ai bambini, ha insegnato la giovialità e la spensieratezza della sua terra, polke, mazurche, valzer, tortellini, piadine e sangiovese, mare, spiagge, vacanze, ma anche la civiltà contadina, qui festaiola e gaia rispetto a quella malinconica e sofferta di Olmi nel suo film “L’albero degli zoccoli”. Raoul ha saputo trovare la quadra vincente del mix fra tradizione e innovazione, sentimenti genuini delle antiche aie e modernità.

Un fuoriprogramma dentro il giornale
Si fatica a credere alla notizia di un addio così inatteso, che intristisce improvviso una radiosa giornata di marzo. Avevo incontrato e conosciuto Raoul e la sua orchestra negli anni con il sole del successo a perpendicolo nella vita e nella carriera di un compositore-musicista-cantante-divulgatore sconfinato di un genere – il liscio – che con lui ha conosciuto fama e successo in tutto il mondo. Correvano quelli che sono stati definitivi “mitici” anni Settanta. L’autore e interprete di “Romagna mia” – uno degli innumerevoli best seller del gruppo (4 milioni di dischi venduti) – aveva in cartellone una serie di concerti in tutta la Svizzera.
Curavo una pagina settimanale dedicata ai giovani, imbottita di novità musicali e interviste con i cantanti che andavano per la maggiore. Con poca convinzione di riscontro chiesi all’organizzatore di quel tour se fosse possibile ritagliare uno spicchio di tempo per un’intervista. Successe l’insperabile. A sorpresa, all’ora del tè, arrivò al giornale con tutta la sua affollata carovana, Raoul: fu subito come trovarsi tra vecchi compagni di scuola con un’immediatezza e con una empatia che accesero ottimismo. Prima di addentrarsi nella sua avventura – con un’agenda debordante di concerti, registrazioni, interviste, spostamenti ovunque – volle sapere dal vivo come nasceva il quotidiano. Fu una ventata di novità per loro ma anche per tutta la squadra che già lavorava a comporre e a preparare il giornale. Fra le linotype, il quadrilatero del titolista, le postazioni degli impaginatori, il reparto della stereotipia, quindi la rotativa fu un viaggio affascinante che incuriosì la truppa canterina da una parte e affascinò il personale con gli scossaloni blu che invece di allineare colonne di piombo – la rivoluzione dei computer era ancora di là da venire – volle farsi fotografare con quei personaggi che ammiravano in televisione. Fu davvero un fuoriprogramma che diventò un piccolo-grande evento, un incontro da affidare alle emozioni e ai ricordi che restano dentro.

Quella musica che fa palpitare il cuore
Sì, Raoul e la cantante che faceva scatenare le balere con le sue canzoni e con la sua padronanza della scena, ma anche e specialmente con la sua bellezza, raccontarono impegni, programmi, impressioni, attese, fatiche, gioie, giudizi sulla musica leggera e non solo. Un percorso che non si limitò alle canzonette, ma affrontò temi del vivere, la velocità dei cambiamenti in atto, la comunicazione che stava facendosi impetuosa e orientava i comportamenti della gente, l’importanza di certi valori, per esempio della famiglia e della sua saldezza, che per Raoul hanno sempre avuto un posto di rilievo. Si rimaneva colpiti – e io ne fui molto affascinato – dalla semplicità, dalla familiarità, da una conoscenza personale che diventò quasi subito un’amicizia, dalla cordialità unita a quella carica di esuberanza che fa star bene e che spiega molto della popolarità senza frontiere di Casadei e della sua trascinante orchestra.
Uno che se ne intende come Pupi Avati – regista, sceneggiatore, produttore cinematografico e scrittore – ha dettato questa esauriente epigrafe: «Con “Romagna mia” Raoul Casadei ha sintetizzato la nostra regione meglio di tanti cantautori, Lucio Dalla compreso. Come tutti i ragazzi cresciuti nella Bologna bene degli anni Cinquanta e Sessanta giudicavo il liscio troppo popolare, ma il liscio ha fatto gioire molte più persone di quanto sia riuscito a fare il jazz».
Ecco, Raoul possedeva la magia – che è dei grandi talenti – di far divertire, far cantare, e far sognare. Ha detto bene Beppe Carletti, leader dei Nomadi: “La vera musica parla al cuore” e Raoul ha saputo regalare battiti indimenticabili. Ritornando a Nada e alla parafrasi della sua canzone epocale “Ma che freddo fa”, si possono mettere a suggello dell’addio a Raoul queste non casuali parole: “Cos’è la vita / senza l’amore? / È solo un albero / che foglie non ha più. / E s’alza il vento / un vento freddo / come le foglie, le speranze butta giù”.
Citazioni d’autore
Il nome Casadei è citato in diversi brani pop: Caparezza (“Io vorrei che le teenager amassero Casadei”); Articolo 31 (“Tutto fila liscio come con il Casadei”); Gabri Ponte (“Siamo figli di Pitagora e di Casadei, di Machiavelli e di Totò”), Paolo Belli (“Lunga vita ai dj, a Casadei, a Jack Elwood, ai dischi di Battisti”); J-Ax (“Nelle balere metteremo i dj, l’orchestra Casadei suonerà i Gren Day”) e Ridillo (“Da piccolo in macchina coi miei sentivo un misto fra la dance e Casadei”).
(da “La Stampa”)