“Com’eri felice e non lo sapevi! Come dovevi ringraziare il sole ogni giorno e non l’hai fatto! Va giù, va giù, sprofonda. Poi, se sei capace, rinasci. Questo, o press’a poco, la subdola forza – avvilente e risorgente – della malattia, forse inventata per i superbi o gli ignari (superbi anch’essi perché non umilmente grati). Anzi, a dirla intera, il vero riscatto di questo male è questo: ho imparato a credere felicità quello che era goduto senza consapevole gratitudine. Ora lo so, che camminare nel sole, nuotare nell’acqua, respirare tra amici, è vita, è la vita. E il resto è miseria, scarto, niente”.
(Gina Lagorio, scrittrice)
“Avere il coraggio di essere felici”: sotto questo intrigante titolo, nella pagina aperta alle opinioni dei lettori, il Corriere del Ticino ha pubblicato un interessante e intelligente intervento dell’attore teatrale Tommaso Giacopini. La partenza è databile all’anno scorso e il viaggio è dentro questi mesi di convivenza forzata, opprimente e ossessiva del coronavirus nella vita del mondo. Mossosi dalla Cina non si sa bene quando – e chissà se lo si saprà mai – il “covid-19” si è diffuso in tutto l’orbe terracqueo.
Scrive in apertura: “Abbiamo avuto paura. Normale. Imperversava la minaccia di un virus sconosciuto che avrebbe decimato la popolazione mondiale, altroché non averne. La paura è un’emozione forte, fondamentale alla sopravvivenza, gli esseri intelligenti provano paura, per fortuna. Tuttavia ora che è passato più di un anno dallo scoppio di questa emergenza abbiamo a nostra disposizione molti più dati e possiamo così farci un’idea più chiara sulla dimensione di questa fase storica. Verrebbe dunque da pensare che, una volta accertato il basso tasso di mortalità della covid-19, le restrizioni sarebbero state ridotte o perlomeno ripensate, al fine di alleviare la paura, ristabilire l’equilibrio psico-fisico dei cittadini, salvaguardare i valori di libertà di parola e di arbitrio e prevenire un crollo economico totale e assolutamente non necessario. Ma così non è”.
Poi comincia una serie di osservazioni mirate e urticanti: “Si potrebbe ingenuamente ripararsi dietro l’idea che gli Stati stiano facendo il possibile per salvaguardare la salute dei cittadini, tuttavia questa ipotesi è subito scartata quando si relativizza il numero di morti confrontandolo con altre cifre, assolutamente considerate normali, senza che vengano prese grosse misure per evitarle”.
E voilà il primo affondo di sciabola puntata su alcune evidenti, grosse incoerenze degli Stati. “Basti infatti pensare che:
- le sigarette uccidono ogni anno circa 7,1 milioni di persone nel mondo,
- l’alcol 3 milioni,
- l’inquinamento 6,6,
- mentre alla covid-19 ne vengono attribuiti circa 2,2 (dati ufficiali pubblicati dall’Ente europeo della sanità).
Oggi più che mai sento il dovere di informarmi con onestà e apertura sugli avvenimenti dell’ultimo anno e consigliare di aprire gli occhi, di ascoltarsi e ascoltare, di rendersi conto che questa situazione non è affatto temporanea, che non sarà meglio domani se non agiamo oggi. Ci viene chiesto di non vedere amici e cari, di non prendere parte a eventi culturali di sorta, di istruirci unicamente attraverso piattaforme virtuali, di non fare attività fisica, di non cantare (ripeto, di non cantare!)”.

La conclusione di Tommaso Giacopini è questa e merita una riflessione dentro il nebbione in cui abbiamo spesso – e in molti – la sensazione di muoverci, anzi di vagolare, senza sapere esattamente dove stiamo andando, soprattutto non potendo neppure immaginare quando usciremo da questa fitta coltre di nebbia: “La salute è una questione prima di tutto di benessere. Il benessere è il risultato delle scelte di ogni giorno, da quello che mangiamo alle attività che scegliamo di fare, dalle persone che frequentiamo ai pensieri a cui permettiamo di entrarci in testa.
Ora come sempre è importante dedicarsi alle proprie passioni, dimostrare amore e affetto a noi stessi, alle persone attorno a noi, al nostro pianeta, avere il coraggio di essere felici. Avere il coraggio di pensare con l’intelletto e con il cuore. La paura di morire altro non è che la paura di vivere.
Rimuovo la maschera. Respiro”.

Che idea di felicità ci stiamo facendo?
Secondo gli ultimi dati OMS, i morti di covid-19 nel mondo aggiornati a ieri, 11 marzo, sono 2.610.925.
Dopo un anno col coronavirus fra noi, un anno mai immaginato e men che meno vissuto prima, sarebbe interessante un sondaggio per sapere com’è il nostro rapporto con la felicità. Forse uscirebbero risposte molto illuminanti e preoccupanti sullo stato di malessere che ci lambisce e sta impadronendosi delle nostre esistenze.
Sono in molti a non far mistero del loro smarrimento, delle depressioni che galoppano, delle insopportabilità reciproche in aumento, delle separazioni e dei divorzi in crescita.
Che idea di felicità ci stiamo facendo mentre molti si adattano a fare i casalinghi e per paura non escono più di casa?

E i ragazzi e i giovani come reagiranno ai troppi distanziamenti, alla rarefazione di contatti, vicinanze e relazioni che maturano dentro la scuola e in molti ambiti dove il confronto avviene attraverso il gruppo?
Forse, più di tanti dibattiti e interviste con specialisti di virus, epidemie, vaccini, durata probabile della pandemia, sarebbero utili alcune esplorazioni del nostro essere e della capacità di rapportarci agli altri: di cui abbiamo nostalgia e che non sappiamo quando (e come) ritroveremo. Per “sconfiggere la paura di vivere” è urgente che ritroviamo (e ci favoriscano nel ritrovarla) la “gioia di vivere”, camminando nella primavera.
Enzo Dossico