Caro abbraccio, quanta nostalgia!

Mai come in questo periodo di anoressia affettiva sentiamo forte l’assenza di certi gesti, con una necessità prorompente di scambiarci sguardi, strette di mano, abbracci che scaldano il cuore e ci rendono la vita meno grigia e pesante. Abbracciamo le persone per le quali abbiamo preparato il cuore.

Domenica Salvi*

Torneremo ad abbracciarci. Un giorno.
Torneremo ad avvicinare le nostre mani all’altro, per toccare il suo viso, per essere avvolti da braccia ardenti.
Ne abbiamo un bisogno travolgente. Lo sappiamo.
Ci manca ciò che, troppe volte forse, abbiamo disertato; ci mancano il calore e il richiamo delle persone, l’incontro con gli occhi dentro gli occhi.
Ma perché proprio gli abbracci? Perché sono un posto perfetto in cui stare e dove abitare. Sono la dimora familiare a ciascuno, quella residenza di cui non possiamo fare a meno.
Anche l’arte lo esalta. Dalla dolcezza di Renoir, alla sensualità e potenza di Klimt; dal disperato attaccamento alla vita di Schiele, all’abbraccio materno di Matisse.
Oppure quello infinito di Peter Wever.
Non esiste film che non annoveri un abbraccio.
Canzoni e musiche lo celebrano. Poesie lo decantano.
Al di là degli studi scientifici, gli abbracci appagano i desideri, placano ogni preoccupazione, sostengono i pensieri e ci affidano all’immortalità. Come istanti di magia che si attardano nelle nostre giornate. Poiché certi abbracci smiracolano, come fasci di luce, negli inverni dell’esistenza e ci rimangono dentro come soli ad illuminare le ore grigie e caliginose… Simili a uno zendado con cui ripararci nelle stagioni scolorite dalle prove.
Soprattutto allungano la vita quegli abbracci che conosciamo molto bene; quelli che sembrano strade fiorite; tanto intimi al nostro cuore che sappiamo dove appoggiare la testa, quando arrivano.
E in momenti di dispersione e di diaspora, come quelli che viviamo, il gesto antico dell’abbraccio recupera un sogno di serenità.
Fissa un istante eterno nella vacuità dell’incertezza.

Ragazze che si abbracciano

Comunicazione di amicizia, di fraternità

Un abbraccio racchiude in sé valenze e significati diversi e circoscrive la personalità di un individuo nella sua interezza.
È anzitutto comunicazione. A volte le parole non sono sufficienti; devono essere postulate con i gesti per raccontare l’amicizia e la fraternità, l’amore e la figliolanza.
Un abbraccio dice molto di noi e palesa il conforto, il sostegno, il vigore e l’incoraggiamento.
Si tiene nelle proprie braccia chi si vuole accanto a sé, la persona a cui sono dati il permesso di ingresso e il diritto di residenza. Si abbracciano le persone per le quali si è preparato il cuore.
Chi non si è sentito al riparo dentro l’abbraccio di un padre, di una madre, di un amico o di un partner? Lì, il mondo non entra; non penetrano i dubbi, le sofferenze, i venti freddi della nequizia. Quei momenti ci sono tanto cari che li annodiamo all’anima.
È un impegno reciproco di libertà. E tale deve essere.
Non ci possono essere abbracci che soffocano e opprimono la personalità di un individuo.
Oppure che esprimono un dominio che sia proprietà.

Un dono dato e ricevuto, di valore universale

Il valore dell’abbraccio è incommensurabile perché, mentre reclama il dono, lo elargisce, parimenti, in modo gratuito e incondizionato.
Linguaggio universale che valica i confini stabiliti dagli uomini.
Non esiste cultura che non conosca e non frequenti l’abbraccio. Non ci sono latitudini o longitudini che trascendano questo gesto.
Poiché, mentre il saluto ha connotazioni diverse, i linguaggi sono diversificati e le usanze e le tradizioni rispecchiano le caratteristiche di un popolo, l’amplesso appartiene a tutti.
Non ha lingua, non religione, non colore politico, non esclusività etnica.
È tanto semplice, quanto universale. E incontra ogni uomo.
Torneremo ad abbracciarci. Sì, lo faremo ancora, un giorno.
Correremo il rischio di chiedercelo, senza verecondia e turbamento.


Una insostituibile linfa di vita

Se in questi giorni senza contorni,
un filo d’erba e una rondine
sono più eterni di noi,
abbracciami.

Se in questi giorni di dispersione,
gli ignudi uccelli
sono più lieti di noi,
abbracciami.

Se somigliamo sempre più
a giunchi sconfitti
sul greto della vita,
abbracciami.

Regalami il tuo abbraccio
e sia prodigo come un giorno d’estate.
Amoroso come un drudo
e ambrato come un giugno odoroso.

Dammi il tuo abbraccio
perché io viva.
E sia immortale.
Ancora.
Domenica Salvi

*Docente, editorialista e scrittrice. Vive in una realtà di valle alpina ma ha lo sguardo lungo e il respiro grande di chi sa guardare le cose che contano, i valori che non mutano, l’umanità che dev’essere alla base delle esistenze singole e della comunità. Si impegna attivamente per educare e sostenere nel concreto iniziative di solidarietà.

Domenica Salvi