Come può cambiare nel tempo l’approccio alla celeberrima favola di Collodi, da cui sono stati tratti ben quattro film. Il rovesciamento delle parti: i cattivi diventano buoni e viceversa.
Emanuela Monego*
“C’è una stella su nel ciel…” cantavano in coro le mie tre bambine, seguendo la colonna sonora del Pinocchio di Disney, visto e rivisto decine di volte negli anni della loro infanzia: un classico di animazione datato 1940 (si vede dai disegni vecchia maniera) che adatta, restringendolo, il racconto di Collodi pubblicato nel 1883. Si dice che le favole non abbiano tempo, e per questo siano immortali; il tema, ridotto all’essenziale, è l’eterna lotta fra il bene e il male, al termine della quale il cattivo viene sconfitto e il buono premiato. Questo è l’insegnamento impartito ai bambini per millenni, a tutte le latitudini e in tutte le fogge.
Le mie figliole sono ormai donne, chi alla vigilia della laurea e chi del diploma, e l’altra sera (in una ancora fredda nottata di reclusione da coprifuoco) hanno riscoperto la vecchia cassetta VHS, esprimendo però commenti e giudizi ben diversi da quelli di quindici/vent’anni fa.
Ticchettano gli orologi di Mastro Geppetto: allo scoccare di ogni ora, dalle porticine compaiono varie figure intagliate, al posto del canonico cucù. Qui c’è una robusta massaia che infligge al frugoletto sonore sculacciate (una al secondo, naturalmente), là un contadino con l’accetta che cerca (per fortuna invano) di decapitare il tacchino, salvo grazie al ritmico allungarsi e ritrarsi del collo. “C’è un sacco di violenza in questo cartone -dice la maggiore- è altamente diseducativo!”.
Ed ecco che la bionda fatina anima il burattino con gran gioia del novello padre e degli animaletti di casa; “Poveretto – commenta la minore – è appena nato e già lo affliggono con una coscienza (il Grillo Parlante, n.d.r.) colpevolizzante. E per giunta, nel suo primo giorno di vita gli tocca pure andare a scuola…”.
Poi compare Mangiafuoco che, dati l’orecchino, l’abbigliamento e il carrozzone, ha un look inequivocabilmente gitano; “E ti pare che è cattivo – nota la seconda in tono acido – questo film è razzista!”.
Mentre la pellicola si srotola, ricomincia il coro delle note di biasimo. Le marionette ballerine di can-can, lignee ma troppo sexy con calzette e giarrettiere, rivelano un inconfutabile sessismo. La pesciolina Cleo cena con una fetta di torta al cioccolato, sospesa con un filino nel centro del boccione: un “chiaro invito a nutrire gli animali nel modo sbagliato”, secondo l’ottica dei nutrizionisti che impongono merende a base di mandorle amare e bacche di goji. E infine c’è la tragedia del Paese dei Balocchi, dove i ragazzi svogliati e disubbidienti si trasformano in ciuchini; “Questo è un ricatto morale, è discriminatorio per chi apprende con fatica e criminalizza chi non ha voglia di andare a scuola”, sancisce con tono funereo la più piccola, che di voglia ne aveva pochetta già prima della didattica a distanza, da seguire in pigiama sul divano di casa.
Perbacco, mi viene da pensare, qua i cattivi di sempre son diventati buoni, e i buoni si sono trasformati in cattivi. Morale della favola: neanche le favole hanno schemi eterni, con buona pace di Propp e degli strutturalisti russi che tanto ci si sono scervellati sopra…
*Docente di scuola superiore, scrive da anni articoli e saggi di osservazione critica su dove stanno andando il costume e la società, con acutezza di analisi e di giudizio. Vive e lavora a Roma dove ha seguito e segue tantissimi studenti in lezioni di recupero e corsi di doposcuola. Dice dei cristalli di brina:
“Sono belli ma pungono”.
