Sono in molti a sentirsi sempre più depredati della propria autonomia nei comportamenti. Troppo condizionati, costretti a solitudini forzate in un tempo in cui si sente un bisogno vitale di relazioni, di vicinanze. Necessario riscoprire la dimensione umana, i contatti, le conversazioni dal vivo.
Che era mutevole lo sapevamo da almeno un anno; adesso al corteo di aggettivi che lo qualificano se n’è aggiunto un altro, sconvolgente: il “covid-19” è anche “variante”. Ha molte declinazioni, si presenta con identità nazionali ballerine, una brasiliana è arrivata nelle nostre vicinanze: atterraggio a Malpensa e “dirottamento” all’Ospedale di Circolo di Varese, reparto malattie infettive. Dicono che la “variante” carioca è una delle più temibili come espansione velocemente contagiosa e per come sguscia fra le maglie delle terapie che dovrebbero arginarlo. Intanto, con quella senza varianti, la pandemia ha ormai superato quota cento milioni di casi nel mondo: ieri erano 104 milioni. I decessi sono ormai sulla soglia dei 3 milioni (ora sono a quota 2,27). Per fortuna ci sono anche quasi 60 milioni di guarigioni e poi ora c’è San Vaccino in svariate declinazioni di provenienza, con un elenco che è destinato ad allungarsi e con interrogativi che viaggiano in perfetta sincronia. Chi deve farsi vaccinare non sa a quale affidarsi: BioNTech-Pfizer, Moderna, AstraZeneca, il russo Sputnik V quello della cinese Sinopharm? E intanto siamo già arrivati così al 5 febbraio, con slalom infiniti tra i paletti di norme, divieti, intimazioni, minacce di multe a vario titolo. Chissà per quanto ne avremo. C’è da auspicare che le vaccinazioni di massa abbassino i rischi di contagio. Staremo a vedere.

Quel che intanto è acquisito è il moltiplicarsi all’inverosimile dell’insicurezza, figlia dei dubbi che proliferano (sono fatti proliferare) a getto continuo, tanto che ci si sente ondeggianti, come si vagolasse nella nebbia, al buio, con rischio di mettere il piede fuori dal sentiero su cui si cammina a stento. Luisa Pronzato sul “Corriere della Sera” ha viaggiato tra le confidenze raccolte fra lettrici e lettori. Una foresta nera di preoccupazioni, paure, rabbia, frustrazione, angosce incontrollabili, documentate dalla curva in salita degli psicofarmaci inghiottiti a dosi crescenti e tra chi ne fa consumo ci sono purtroppo molti giovani. La fotografia che esce dai racconti in disinteressata e quindi credibile spontaneità parla di ragazze e ragazzi depredati dei sogni, delle amicizie, del tempo, delle strette di mano, degli abbracci. Non parliamo poi del lavoro che vacilla e della precarietà che ne consegue. Chi può fare progetti per il futuro con questi chiari di luna? La socialità è stata spezzata: niente cinema, niente musei, niente attività sportive in palestra o in piscina con tutti i significati preziosi che hanno per lo scambio di opinioni, il confronto, insomma l’estesa area delle relazioni ora compresse e ridotte al minimo. “Spenta la voglia di interagire, spenta la voglia di rimettermi in gioco” hanno scritto. Il valore più importante di cui si dichiara la scomparsa è quello della libertà. E la giornalista indica un po’ di questi spazi di libertà perduta: gestire il tempo, fare una valigia, anche semplici ma a volte vitali chiacchiere (e lo si sperimenta bene, di questi tempi). “Credo sia proprio la libertà delle relazioni il grande furto”, conclude Luisa Pronzato che annota: “Tra i tanti vaccini (sociali) sarà bene riconcentrarci anche sulla cura dei rapporti per restare sani. E umani”. Una sacrosanta, sperimentata verità di cui tutti stiamo pagando un prezzo generalmente elevato.
Enzo Dossico