Clamorosa disobbedienza a Bose dell’ex-Priore Enzo Bianchi che rifiuta l’esilio in Toscana

Come sempre quando ci sono divisioni molto aspre ci sono versioni contrastanti, a sostegno dell’uno o dell’altro fronte. Quanti sono per la linea dell’ex-Priore ritengono “perse per strada le due intuizioni fondanti: la centralità del Vangelo e l’ecumenismo”. Dopo la “Visita apostolica” del delegato pontificio P. Amedeo Cencini, c’era stato nel maggio 2020 il decreto di allontanamento di Enzo Bianchi per mettere fine a incomprensioni e tensioni.

È ormai guerriglia fra le parti, senza esclusione di colpi. Il caso-Bose sta producendo una deflagrazione, anche mediatica, che è persino difficile da seguire, visti gli scambi di “artiglieria”, anche pesante, fra gli opposti schieramenti. Enzo Bianchi, l’ex-priore e fondatore di Bose – una Comunità monacale mista, maschile e femminile, distinte ma unite nella stessa convivenza, ecumenica – doveva lasciare il monastero a Magnano (Biella) per trasferirsi in Toscana, Cellole di San Gimignano a Siena, nel convento che era stato messo a disposizione dalla stessa Comunità. La difficoltà a trovare un altro posto in cui vivere, per Bianchi, era stata superata con la cessione da parte della Comunità del convento di Cellole a San Gimignano (Siena).
La soluzione era stata suggerita dal delegato del Papa, Padre Amedeo Cencini. Sembrava cosa fatta e con accettazione dell’esilio entro questa settimana, che nella Chiesa segna l’inizio della Quaresima: martedì è finito il carnevale romano, alla mezzanotte di oggi termina quello ambrosiano. Le modalità del nuovo accasamento erano state concordate a denti stretti e a muso duro, dopo trattative molto laboriose (eufemismo). Ogni parte rivendicava d’aver ragione: Luciano Manicardi, nuovo priore di Bose, con il suo seguito, dopo aver ricevuto il testimone della Comunità nel gennaio 2017 ed Enzo Bianchi con i suoi 3 seguaci schierati, ma con molti alleati a sostegno.
Viste le ostilità e le schermaglie perduranti e mai attenuatesi nonostante sollecitazioni facili da immaginare e intuire, si era arrivati all’ispezione del Vaticano per salvare l’esperienza della Comunità, una punta avanzata nel cammino ecumenico. Per cercare un armistizio, su un aspro e duro calle, era scattata la “Visita apostolica” condotta per mesi dal delegato pontificio P. Amedeo Cencini. Lo sbocco, mal digerito dall’ex-Priore (monaco laico) e dai suoi era la partenza, una sgradita “cronaca annunciata”: lo sfratto di Bianchi mandato in Toscana, scongiurando così – negli auspici – il rischio di cortocircuiti e ulteriori tensioni. Il decreto reca la data del 13 maggio 2020. Con un provvedimento giudicato da molti come autoritario si è voluto costringere Bose – e la gemmazione che da qui è partita, sbocciando in diverse regioni italiane con altrettante comunità – a essere un monastero tradizionale, spegnendo quello che era/è ritenuto il carisma originale distintivo.
Quando sembrava composta la vertenza (“obtorto collo”, molto “obtorto”), ecco il colpo di scena: il clamoroso gesto di disobbedienza messo in atto dall’ex-Priore, prossimo – in marzo – ai 78 anni, che aveva dato chiari segnali di insofferenza verso l’ingiunzione. Qualche giorno fa in un tweet aveva commentato: «L’esercizio del silenzio è per tutti noi difficile e faticoso, ma viene l’ora nella quale la verità grida proprio con il silenzio», «dunque silenzio sì, assenso alla menzogna no».
«Con profonda amarezza la Comunità – è il comunicano diffuso dal monastero di Bose – ha dovuto prendere atto che fratel Enzo non si è recato a Cellole nei tempi indicatigli dal Decreto del Delegato Pontificio dello scorso 4 gennaio. Si trattava di una soluzione messa a punto in questi mesi con l’assenso ribadito per iscritto dallo stesso fr. Enzo e da alcuni fratelli e sorelle disposti a seguirlo per fornirgli tutta l’assistenza necessaria».
La stessa Comunità di Bose ha ribadito che «lo spostamento di fr. Enzo a Cellole avrebbe contribuito ad allentare la tensione e la sofferenza di tutti e avrebbe facilitato il lento cammino di riconciliazione».

“Il dovere di non tacere” sull’accaduto

Riccardo Larini, entrato a Bose quasi 30 anni fa, ricorda di essere stato il 47° membro a unirsi alla comunità e racconta come: “Quello che mi colpì e mi aiutò a decidere a fermarmi, e a fermarmi piuttosto a lungo (sono stato monaco per 11 anni), fu la collezione di personalità e retroterra decisamente diversi dei membri della comunità. C’era chi veniva da un cattolicesimo molto tradizionale, chi veniva dal mondo post-sessantottino, c’erano nobili e muratori, giovani intellettuali e macellai, contadini e artisti, femministe e donne dal retroterra più tradizionalista. Ma il linguaggio unificante del Vangelo compiva il miracolo visibile, affascinante, di un’umanità riconciliata.
Chiaro l’intervento di Larini dal titolo inequivocabile: “Il dovere di non tacere. Per ritrovare la via del Vangelo e del dialogo a Bose (https://riprenderealtrimenti.wordpress.com/author/riprenderealtrimenti/), dove precisa subito in apertura che “la straordinaria vicenda della comunità di Bose, dalle sue fondamentali intuizioni di base alla lunga fedeltà al vangelo testimoniata per vari decenni, non può essere né negata né minimizzata – a prescindere dalle simpatie umane o dalle tendenze e gusti spirituali di ciascuno di noi – a motivo della vera e propria tragedia che i fratelli e le sorelle di Bose hanno vissuto in tempi più recenti, in particolare in misura crescente da circa quattro anni a questa parte (che spero possa comunque conoscere un esito finale veramente evangelico).

Enzo Dossico