Il fondatore di “SanPa” andò oltre l’orto delle piccole o medie comunità, create per lo più da sacerdoti: nel 1980 mise le prime basi di quello che sarebbe diventato un paese, con una popolazione di un migliaio di residenti e molti in attesa di diventarlo.
Eravamo a metà degli anni Ottanta quando arrivai la prima volta a Coriano, dove stava espandendosi la cittadella avviata da Vincenzo Muccioli (1934-1995), “San Patrignano”, un esteso porto nato dalla disperazione di molti e cresciuto nella speranza. Il patriarca di San Patrignano, che richiamava nel fisico e nei modi, il guareschiano Peppone (Gino Cervi), aveva 55 anni. C’erano 7 ospiti nel 1980 all’avvio di quell’esperienza e uno di questi era Antonio Boschini che poi è diventato medico e oggi è responsabile sanitario della Comunità e del suo Centro medico. Era stato uno dei primi ad entrarci. Quando scrissi il libro “Gioventù bucata”, nel 1989, c’erano mille ospiti ed erano già oltre 4 mila i giovani usciti dalla droga e con una professione, un mestiere imparati proprio lì.
“SanPa”, al di là e al di sopra di tutto ha rappresentato e rappresenta un patrimonio di valori e sono quelli di schiere di ragazze e ragazzi che su quella collina con vista su Rimini e sul mare si sono ricostruiti. Una storia rappresentativa di tante ripartenze umane per giovani fragili, deragliati nelle droghe. Già allora si parlava di giovani defraudati del loro futuro, che cercavano – come si cerca ancora oggi – risposte sbagliate nella droga.
Muccioli ha voluto testimoniare allo Stato, alle famiglie con figli uncinati dalla droga, al variegato mondo degli indifferenti che non bisogna arrendersi, ma piuttosto, rimboccarsi le maniche e “fare”.
Quando si arrivava all’entrata del “suo” paese, con i confini territoriali molto segnati in difesa e a protezione di chi vi abitava (nei secoli passati si costruivano mura), c’era immancabilmente un folto gruppo di giovani, spesso con i genitori, che giungevano lì spontaneamente, senza annunciarsi, per chiedere un posto, l’accoglienza, un ormeggio per riparare i danni di un’esistenza travagliata e ripartire. Non è mai stato facile per nessuna famiglia che si sia trovata confrontata con il dramma della droga scegliere una comunità terapeutica. Le strutture pubbliche, quando ci sono, non sempre sono un esempio di efficienza: nell’Italia di 30 anni fa ci si muoveva molto soprattutto per solidarietà. E stiamo parlando di una popolazione che a inizio anni novanta in Italia raggiungeva i 500 mila tossicodipendenti (nel Ticino, rapporto dell’avv. Sergio Salvioni, si scriveva di una popolazione dai 2 ai 4 mila tossicodipendenti non occasionali e quel rilevamento fece scalpore e innescò molti dibattiti).
Il fondatore li conosceva tutti, li chiamava per nome, aveva un forte ascendente. Il suo mantra: “Sanpa non è un rifugio, ma un esempio di convivenza, una fucina di uomini responsabili”. Basterà dire che a fine anni Ottanta offriva 56 opportunità professionali, dal fornaio al laboratorio di odontotecnica, dalla pellicceria all’agricoltura, con attenzione speciale alla viticoltura. Allora c’erano stalle con 200 cavalli da corsa, 400 mucche con tutto il ciclo di lavorazione, greggi di pecore e capre, allevamenti di cani di razza. Il refettorio aveva una capienza di 400 coperti e si facevano due turni e mezzo per pranzo e per cena.

Non ricordo quanti incontri e quanti dibattiti ho fatto con Muccioli ed era uno che non chiedeva e non voleva in assoluto compensi per la sua partecipazione. Il fondatore di SanPa è stato anche un uomo alle prese con l’errore e col debito che ne deriva. Era una questione di giustizia e Vincenzo ha pagato di persona e non poco il suo debito.
Muccioli fece 40 giorni di carcere negli anni 80 per aver incatenato i ragazzi che voleva disintossicare senza sostanze sostitutive, tipo metadone. A Sanpa c’erano allora 34 ospiti: la comunità si ritrovò senza il suo fondatore. Non si sapeva per quanto tempo sarebbe stato in prigione. Nessuno se ne andò e altri premevano per entrarvi.
Al fondo di tutto ci sono gradi di giudizio che non passano solo dalle leggi. Ogni uomo è un enigma e ognuno di noi si porta dietro e dentro un sacco di contraddizioni. A fare la differenza è sempre il fattore umanità e questa – come è stato sottolineato – non perde mai nulla del suo decisivo significato.
Giuseppe Zois

Droghe e dintorni, libri di quegli anni
“Gioventù bucata”, il titolo del libro scritto da Giuseppe Zois e Patrizia Tollio sull’esperienza di SanPa con Vincenzo Muccioli (1989) nacque parafrasando il film drammatico di Nicholas Ray con protagonista James Dean, lo storico “Gioventù bruciata”. Il gruppo musicale “I pinguini tattici nucleari” hanno parafrasato ulteriormente con questa successione: “I vostri nonni, gioventù bruciata; i vostri padri, gioventù bucata; e voi, gioventù brucata”.
Altri titoli del percorso di Zois fra tossicodipendenze e tossicodipendenti nelle varie stagioni: “L’importante è non drogarsi” (1975), “La droga secondo loro” (1977), “E non poter fare niente” (1979), “Polvere in casa. Una mamma scrive alla figlia che si buca” (1988), “Strade aperte” (1999), “Dove abbiamo sbagliato” con Graziano Martignoni (2001), “La frontiera della libertà” (2003),”L’erba voglio” e «“Viaggiatori“ senza valigie», entrambi con Lorenzo Pezzoli (2003).
Sempre in materia, libri scritti con don Antonio Mazzi (fondatore di Exodus): “Pinocchio e i suoi fratelli” (1993), “Ci manda Geppetto” (1994), “Il filo degli aquiloni” (2000), “Abbasso Pinocchio” (2004).
Libri pubblicati nelle edizioni Dadò, Giornale del Popolo, Ferrari, Piemme, “San Paolo”, Mondadori.
Domani pubblicheremo un’intervista di Anna Carissoni con Rosangela, che fu accolta e salvata da Muccioli a SanPa. Oggi la donna ha 50 anni e ricorda la sua esperienza con le droghe e come fu restituita alla salute, alla vita, ai sogni.