E al centesimo giorno, dirsi addio

Decollata il 24 gennaio, la navicella virtuale di “Atmosfere” si proponeva come presenza sperimentale di riflessione, all’insegna della sobrietà nel vortice dei social. Dopo 99 giorni di navigazione, ci salutiamo. È stato un test utile e formativo, un termometro dei cambiamenti in corso e delle modalità di comunicazione. Speriamo anche per i lettori, che ringraziamo per il tempo che ci hanno concesso.

Giuseppe Zois

Vivere un’avventura è sempre stimolante e anche avvincente. Si parte, poi si vedrà. Questo in sintesi lo spirito che guida ogni esperienza umana e professionale. Nessuno ha la sfera di cristallo per immaginare il percorso. Ci si mette la buona volontà, con l’aggiunta dell’impegno, dell’intelligenza, della sensibilità personale, della dedizione a una causa, quale che sia. È così anche nel giornalismo e lo è anche in un’epoca di veloci, talora addirittura frenetici cambiamenti. Siamo da tempo nel vortice dei social. E anche noi di “Atmosfere” ci siamo fatti prendere la mano – e l’entusiasmo – per tentare e vivere una presenza in questa realtà magmatica, che è in continuo divenire. Mutante e mutevolissima in tempo reale. La comunicazione è diventata una babilonia, dove molto spesso non si controllano le fonti e dove si specula sull’emotività, sul sensazionalismo e sulla morbosità. Oggi siamo ai titoli di coda e ci arriviamo dopo tre mesi abbondanti di cammino, più faticoso del previsto a dire il vero. Abbiamo fatto 99 bei giorni di uscita e proposte: fino al passato prossimo potevano anche essere ritenuti un tempo congruo per rilevare una temperatura, oggi si sono ridotti a un soffio, proprio per la cascata impetuosa e continua delle notizie, molte delle quali si bruciano in pochi istanti.
Chi ha navigato nelle redazioni dei giornali cartacei ha imparato le modalità che portano alla nascita di un quotidiano o di un periodico. Si diceva che la TV mostra protagonisti e luoghi di un fatto, la radio li racconta e i giornali li descrivono. Il mezzo più tempestivo, fino all’altro ieri, era la radio che con un’apparecchiatura minima – ora poi nell’era smartphone! – riusciva a dare conto di un avvenimento. I cartacei, a differenza di radio-TV, sempre in lotta con il tempo nelle “dirette”, avevano il vantaggio del “pensarci su”, come continua a insegnare Alessandro Manzoni. Tradotto: è quanto occorre per intervenire su errori sempre in agguato, correggere il tiro, aggiustare un’uscita. Non a caso c’erano i commenti, l’editoriale fatto dall’interno della redazione o da voce in consonanza con la linea del giornale e i cosiddetti “corsivi”. Adesso ci sono i dibattiti in streaming, ci sono gli opinionisti che “firmano” a voce i commenti, via skype. Sarebbe interessante un rilevamento per sapere cosa resta addosso di una comunicazione che non concede lo spazio per un’assimilazione. Ma sono statistiche alle quali nessuno pare interessato: è come conoscere una diagnosi quando si teme qualcosa di infausto. Si preferisce andare avanti nella speranza o nell’illusione degli effetti placebo.
Noi, al decollo volutamente piccolo di questa iniziativa online di totale volontariato, ci eravamo ripromessi – scrivendolo – una forma sperimentale. Un’uscita senza alcun clamore, all’insegna della sobrietà, per proporre e/o favorire una riflessione: uno o due interventi al giorno su un tema o problema o tendenza del vivere d’oggi. Volevamo anche verificare la presa possibile ed effettiva sui lettori, quale poteva essere la platea raggiungibile. Un efficace test concreto, alla luce di tutte le previsioni fatte per l’evoluzione delle testate via “web” che – secondo gli astrologi in servizio permanente – avrebbero dovuto sbranare le cartacee entro (addirittura) il Duemila. Non è stato il caso, e tutto sommato meglio così. Vero è d’altra parte che un po’ tutti i mezzi di comunicazione, tradizionali o della costellazione web, sono da parecchio in sofferenza. Ma, come mi confessava un direttore di una società di strategia social e digital, alla sera – paradossalmente – quando vuole sapere cos’è successo, prende fra le mani il caro vecchio quotidiano cartaceo. Ed è la conclusione alla quale siamo pervenuti – almeno per ora – noi del gruppo di firme che abbiamo dato vita ad “Atmosfere”. Sospendiamo il giudizio, del resto viviamo anche in un tempo sospeso; dopo questo periodo – per noi – congruo di prova, lasciamo la navicella virtuale e torniamo con i piedi per terra.
Come dichiarato punto di partenza, – il 24 gennaio – dicevamo di voler favorire la riflessione dei lettori. Lungo il percorso ne abbiamo fatta una anche noi, e alla vigilia del centesimo giorno, abbiamo ritenuto preferibile staccare la spina e salutarci. Con la convinzione che esserci è stata comunque un’esperienza formativa. Speriamo anche per i lettori.