Che distanza corre oggi tra la realtà e la sua rappresentazione? Inevitabile chiederselo, quando la gente tocca con mano dati di fatto, esperienze e valori spesso molto differenti da ciò che si sentono raccontare. Per accorgersi della sempre più profonda faglia che separa l’esperienza dal suo riflesso pubblico non è necessario essere sociologi: basta fare un giro al supermercato, scambiare due parole con i vicini o gli altri genitori aspettando i figli fuori da scuola, prendere un caffè al bar, salire sul bus, scambiare due chiacchiere dopo la Messa domenicale, ascoltare colleghi, amici, parenti. Vivere tra la gente.
Francesco Ognibene, giornalista
Nicoletta Noi-Togni*

Sarà stato “nel mezzo del cammin di nostra vita” che la domanda mi si è presentata nitidissima. Stranamente non ricordo il contesto ma solo la domanda. Cosa faccio? Lascio cadere gli innumerevoli appuntamenti, corse, documenti, discussioni, convincimenti, dinieghi, rifiuti, uffici, leggi, parlamenti, lotte con uomini, donne, giovani, anziani, politici troppo grassi e professori ascetici? Chiudo alle spalle la porta del mio giardino, mi chino sui fiori e sulle erbette, assisto mia madre, curo mio marito, porto a passeggio il mio bellissimo abbiatico biondo? Si, cosa faccio? Cosa fanno tutti? Non si scelgono tutti un posto bello e riposante dove non pensare o pensare in modo non tormentato? La risposta non era giunta subito. Aveva richiesto un colloquio interiore tra le mie due parti. L’emisfero cerebrale sinistro, logico, argomentativo e quello destro intuitivo e coinvolgente di sentimenti. Difficile perché le ragioni dell’uno si intersecavano, in questo caso, con quelle dell’altro. La questione era tutt’altro che nitida.
Cosa perdevo posizionandomi dall’una o dall’altra parte? E cosa perdevano, rispettivamente guadagnavano, gli altri? Vedo gli occhi di mia madre, il sorriso del bimbo biondo, la sdraio a righe bianche e blu, il libro mai letto. Vedo il filo che corre dal mio affanno, dall’intenzione del cuore verso un risultato che forse non ci sarà. Tutto emisfero destro, ma forse non solo. Ciò che posso concretamente ottenere appartiene anche al cognitivo dell’emisfero sinistro. A poco, a poco la risposta si forma. Prima sfuocata poi sempre più nitida, riconoscibile. Fino a quando svetta chiara contro il cielo azzurro cupo della sera. La risposta nasce dall’ultima questione che ho posto alla mia coscienza. Cosa è più giusto? Che io dia tutta me stessa a poche persone oppure un pezzetto di me stessa a tante persone?
Deve essere una domanda di qualità o di quantità? Appartengo solamente a me stressa o a tutto ciò che mi comprende? Cosa diceva Aristotele nella sua polis? Vogliamo accentuare il singolo o l’insieme? Celebrare l’individuo o la comunità? Nella notte blu avevo trovato la risposta ai miei molti interrogativi.
A voler ben guardare, in fondo l’avevo sempre saputo. Mi sarei incamminata con il mio fardello e con il mio affanno su quella strada già tracciata. Dando una parte di me, del mio essere, del mio tempo a molti, invece che un tutto del mio vivere a pochi anche se importantissimi. Mi sarei scusata con loro e loro avrebbero capito. La porta del mio giardino restava aperta.
* Sindaca di San Vittore, deputata al Parlamento retico a Coira, con formazione infermieristica e di pedagogia, Bachelor in Storia della Filosofia. Scrittrice, ora impegnata nell’ottenimento di un Master in Scienza, Filosofia e Storia delle religioni, con una tesi dedicata a Jeanne Hersch. La sua visione della politica: interpretare le attese delle persone e della comunità, puntando sempre alle cose belle, utili, condividendone gioie, dolori e speranze.