Come evitare un disastro educativo tra le conseguenze più preoccupanti del post-pandemia. Le considerazioni del prof. Ivo Lizzola, docente di Pedagogia Sociale e scrittore
Sotto i colpi della perdurante pandemia – con il virus e le sue inquietanti mutazioni – siamo in un tempo che sta avendo imponderabili ricadute e purtroppo anche deflagrazioni che vanno dalla famiglia alla scuola, dal lavoro all’economia, a tutta la società. Questione-vaccini compresa. Stanno aggravandosi molte situazioni nei rapporti di coppia, con il coinvolgimento di crescente preoccupazione per i figli (dove ci sono) e per i comportamenti di questi ultimi a causa del confinamento vissuto/subito in quest’anno. Quasi tutte le amicizie, con gli incontri, le abitudini, l’occupazione del tempo libero hanno subito scossoni sismici, che spesso producono incomunicabilità, solitudini risolte dentro le proprie camere al computer, su internet, depressioni, queste ultime che lambiscono ormai tutta la comunità. La cronaca sta registrando un po’ ovunque una deriva in fatti di violenza. Si parla chiaramente di deriva nella generazione denominata “snowflake generation”, la generazione dei “fiocchi di neve”, fenomeno che si pone ormai su scala mondiale. Il Papa, parlando ai membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede ha usato un’espressione forte che ha molto colpito i mass media e l’opinione pubblica: «Assistiamo a una sorta di “catastrofe educativa”. Vorrei ripeterlo: assistiamo a una sorta di “catastrofe educativa”, davanti alla quale non si può rimanere inerti. La pandemia, che ci ha costretto a lunghi mesi di isolamento e spesso di solitudine, ha fatto emergere la necessità che ogni persona ha di avere rapporti umani. Penso anzitutto agli studenti, che non sono potuti andare regolarmente a scuola o all’università».
Moltissimi – genitori, educatori – sono disorientati, frastornati e non sanno da che parte andare, anche semplicemente “cosa fare” di fronte a situazioni di emergenza dentro un’emergenza globale. Si auspica un impegno individuale e collettivo, ma con quali modalità? Con chi? La paura fa novanta e accende focolai di insicurezza che arrivano anche all’angoscia da frustrazione e impotenza.
Un autorevole sicuro e attendibile protagonista e interlocutore nel campo educativo è da lunghe stagioni il prof. Ivo Lizzola, docente di Pedagogia sociale e Pedagogia della marginalità e della devianza e scrittore, che in una intervista con “Vita.it” si è detto “molto colpito ma non stupito”, spiegando subito che “Correlare politica e educazione, come ha fatto il Papa parlando al Corpo Diplomatico, significa porre al centro la questione generazionale, di responsabilità verso il futuro. Educare è sempre accompagnare ad aprire un futuro possibile, nel quale saper scegliere tra possibile e possibile… La catastrofe educativa è l’incapacità profonda di assumere questa prospettiva”.
Una domanda di “Vita.it” ha posto in primo piano un aspetto determinante della questione: se educare è aprire futuri possibili, la catastrofe educativa è quindi il fatto che oggi l’orizzonte del futuro appare chiuso.
Per Lizzola «la catastrofe educativa è l’incapacità profonda di assumere questa prospettiva, del “di generazione in generazione”. Che è il vero spazio della libertà. Educare è sempre assunzione necessaria del limite, la delimitazione della tua presa/pretesa sul presente per lasciare aperte possibilità di futuro, il non consumare tutto il presente e il non calcolare solo sulle prospettive a breve termine. Ormai abbiamo raggiunto limite estremo, di consumo del pianeta, delle possibilità, di presentificazione di tutto. Bisogna riprendere questa capacità. Che è la capacità generativa, di andare oltre… Come quando nasce un bambino si torna alla prima settimana del mondo, anche quando si educa, si insegnano i linguaggi, le tecniche, i saperi della tradizione è come se li si riprovasse da capo nella loro capacità di dire il mondo, di trasformarlo e di condividerlo. A volte nella scuola questo è perso e ci si concentra solo sul linguaggio, la tecnica, l’apprendimento e sulla capacità di farne prestazioni. Questa è la catastrofe educativa. In un periodo come questo, di “esodo” verso una “Terra Promessa” ancora da delineare, il luogo educativo è un “attendamento” in cui si pratica e si immagina un futuro buono e abitabile. Se non ci sono luoghi in cui si fa pratica dell’immaginazione di futuri, davvero è catastrofe educativa».
G.Z.