Fascino delle comodità urbane. I paesi delle Valli si spopolano, occorrono incentivi nell’interesse di tutti

La gente di montagna ha bisogno di incentivi concreti perché possa considerare di rimanere, soprattutto nelle scelte di vita dei giovani. Per capire le fatiche di viverci, specialmente dei contadini, ai politici farebbe bene un’esperienza di lavoro su un alpeggio. Il turismo (non di massa) potrebbe aprire interessanti prospettive.

Gabriella Pezzoni Borgnis*

Ci sono due cose durevoli che possiamo sperare di lasciare in eredità ai nostri figli: le radici e le ali. Mi è venuto in mente questo saggio detto pensando alla realtà delle nostre Valli, afflitte da un continuo calo demografico in corso da anni. Giovani nati qui, da famiglie con presenze storiche, a causa del lavoro o quando mettono su famiglia, lasciano il paese. Sono motivi ricorrenti e che si possono ben comprendere, alla luce anche dei cambiamenti epocali in corso, dei tempi sempre più stretti ed esigenti. Si cerca di trovare una sistemazione che possa conciliare molte esigenze, sia quelle immediate – ad esempio la comodità del posto di lavoro – sia quelle in prospettiva – un domani, quando ci sono figli per comodità scolastiche e non solo. Molti amano fare ritorno alla terra della loro infanzia e dei loro affetti in un qualche rustico riattato, avuto in eredità dai nonni, dai genitori o da qualche parente e adibito a residenza secondaria, in genere per le vacanze. È un legame che continua, certo, ma di fatto inevitabilmente si allenta, anche perché poi i figli fanno amicizie e si stabiliscono nei luoghi delle residenze scelte dai genitori.
Altri poi scelgono di emigrare oltre San Gottardo o all’estero, anche oltre oceano perché da noi, dopo gli studi che hanno sostenuto ottenendo titoli di studio di rilievo, da noi non trovano sbocchi e senza prospettive non si può vivere né ci si può rassegnare a esperienze di corto raggio, al di sotto delle proprie qualifiche e competenze, per amor di paese. Ho un nipote che dopo il Politecnico a Zurigo, ha scelto di stabilirsi a Boston per la ricerca sui droni e là si è formato la sua bella famiglia. È la cosiddetta fuga dei cervelli, una emorragia che impoverisce le nostre comunità, il Paese tutto. E intanto il territorio si spopola. La gente preferisce le comodità urbane, con i relativi servizi pubblici; più si sale e più ci si imbatte in abbandoni, case con le imposte e le porte tristemente chiuse. Sono pezzi di storia che terminano.

Quando le case chiudono le imposte e le porte è un malinconico segnale di crepuscolo per i paesi delle valli, che fino al passato prossimo pulsavano di vita.

La modernità riuscirà a fermare l’esodo?

Se la saggezza popolare suggerisce di lasciare in eredità ai figli radici e ali – e mi pare bello considerare entrambi i lasciti, il Dalai Lama consiglia: “Dona a chi ami ali per volare, radici per tornare e motivi per rimanere.
Fa senz’altro riflettere questa indicazione, che volentieri faccio mia. Nessuno però ha ancora trovato la ricetta convincente per far sì che ci sia una continuità – nelle nostre famiglie di giovani – con decisione di restare. E ritengo che la ricetta del Dalai Lama sia un triplice obiettivo difficile da raggiungere. Da una parte si sono fatti grandi progressi: anche nelle valli è arrivato internet con tutto quello che significa in termini di possibilità di lavoro da casa, senza spostamenti (lo chiamano “smart working”: bisogna sempre preferire l’inglese, chissà perché non si può usare l’italiano). Indubbiamente questa è un’opportunità notevole che consente risparmi di tempo, di stress, di soldi per i viaggi e tuttavia non tutte le professioni, tutti i mestieri consentono questa opzione. In ogni modo il problema non è solo rappresentato dal lavoro, già ho accennato alle scuole, specialmente quelle post-obbligatorie, e il tempo dei collegi – costi a parte – è tramontato da parecchio, così come l’agricoltura , che nelle terre alte costa ancor più fatica ed è poco remunerativa. Inoltre chi resiste e fa l’allevatore, deve fare i conti con i predatori (ritorno del lupo) e con ovini e caprini persi. Vorrei suggerire in primis ai politici che hanno in simpatia e difendono a oltranza lupi e simili di fare un’esperienza concreta di un paio di stagioni sugli alpi, nelle stesse condizioni in cui vivono i contadini, così da condividerne le asprezze esistenziali. Sono sicura che in pochi reggerebbero.
È convinzione diffusa, non solo mia personale, che occorra consolidare in concreto sensibilità e giusta comprensione per la vita dei paesi di montagna. L’approccio al lupo è diverso dal viverlo laddove si vive il costante pericolo che ti assalga il gregge di pecore e capre o in città e al piano, dove la mentalità e il sentire sono diversi e soprattutto non ci sono rischi per i propri animali.

I nostri greggi devono essere protetti dai grandi predatori.
Più si va in alto e più è difficile creare dei recinti di sicurezza a causa della morfologia del terreno.

I motivi che fanno perdere attrattività

I nostri villaggi delle Valli sono stati depotenziati di attrattiva con la perdita di alcuni servizi e con un impoverimento di riferimenti sociali parallelamente alla decrescita demografica. La chiusura degli uffici postali per esempio. Per fortuna è rimasta la distribuzione. Forse non tutti capiscono l’importanza del postino per i nostri anziani, il desiderio di vederlo, farsi consegnare la posta in mano e scambiare qualche chiacchiera. Una figura di collegamento nei nostri villaggi.
Anche i negozietti erano una comodità di cui ora stiamo comprendendo l’utilità e la comodità… Si è optato per le catene alimentari di grandi dimensioni e a poco a poco i negozietti sono stati obbligati a chiudere perché non potevano reggere la concorrenza. Anche questi svolgevano una funzione sociale. Penalizzata naturalmente la fascia di popolazione anziana.
Ora la popolazione indigena – e questo è un segnale positivo – si dà da fare, con grande impegno per sostenere i piccoli commerci che assieme ai ristoratori valorizzano i prodotti locali. Nell’attesa che i nostri giovani magari restino o possano tornare (pia illusione!) si punta molto sul turismo. Il nostro è un territorio ricco di richiami e di potenzialità da molti punti di vista: come patrimonio artistico ma anche per l’offerta di verde, tranquillità, possibilità di escursioni d’ogni genere, buona tavola. Si sono creati dei sentieri che portano a scoprire alpeggi, godendo di panorami incantevoli. È nella bella stagione che le nostre valli si popolano:
tutti accomunati dalla voglia di ritrovare il contatto con la natura e vivere momenti di relax.

Chiare, fresche, rigeneranti acque: nella bella stagione le rive erano affollatissime di bagnanti.

Fotografie: Gabriella Pezzoni Borgnis

La pandemia ha riportato gente nelle terre alte

Con l’arrivo della pandemia questo bisogno si è accentuato, anche per la necessità di rigenerarsi psicologicamente, di ritrovare una dimensione umana dopo oltre un anno di limitazioni e chiusure, di potersi spostare con una certa sicurezza per la propria salute.
Abbiamo bisogno del turismo, ma non quello di massa: una presenza rispettosa dell’ambiente e dei suoi abitanti. In questo senso c’è ancora da lavorare.
Sappiamo che il turismo è lo strumento chiave in quanto capace di portare afflussi economici dall’esterno. Ripeto: “Ben venga ma con rispetto”.
Nessuno può dire con certezza cosa riserva il futuro. Il mondo cambia e anche le professioni. Forse anche la pandemia che ci affligge dal marzo 2020 ha contribuito e sta contribuendo la sua parte alla riscoperta della montagna, della sua molteplice offerta e dei suoi naturali valori.

*Maestra per una vita, vive a Giumaglio. Dal 1973 e fino al 2013, per qualcosa come 40 anni, ha insegnato alle elementari di Minusio. Il suo motto: “L’intelligenza passa attraverso l’umiltà”. Nell’anno scolastico 1998-99 ha curato con la sua classe una interessante ricerca sui “ricordi di scuola”, pubblicata sul “Giornale del Popolo”. È attenta al magistero della piccola quotidianità in cui viviamo: ogni giorno possiamo imparare qualcosa per camminare la vita.

Gabriella Pezzoni Borgnis