Ecco come può evolvere e diventare stucchevole e indigesta un’intuizione nata in difesa degli utenti, a garanzia dell’identificazione corretta di chi compie operazioni via web. Inventore fu l’ingegnere americano Louis Montulli nel 1994 per pagamenti, home banking, registrazioni a servizi anagrafici e sanitari e via dicendo. Adesso sono diventati una presenza inflazionata, ossessiva, che ci rincorre ad ogni clic.
Emanuela Monego
Chi non conosce i cookies? Piacciono a grandi e piccini i dolcetti tondi e bruni al cioccolato, tipici del mondo anglosassone ma diffusi e graditi un po’ dappertutto, nonostante l’alto contenuto calorico non li renda proprio consigliabili per chiunque. Si resta quindi meravigliati (almeno la prima volta) quando, prima di farci accedere ad un articolo o ad una notizia, il sito in cui siamo entrati ci chiede il consenso per l’uso dei cookie, che con i prodotti di pasticceria non hanno proprio nulla a che fare. Sembrano una chiave indispensabile per aprire ogni cancello, tanto che alla fine si accettano per stanchezza e per abitudine, spesso senza neppure leggere il breve messaggio che accompagna le due caselle entro cui dobbiamo scegliere: appurato che non si tratta di un tiro truffaldino che ci colleghi ad un servizio a pagamento, preferiamo non negare il nostro permesso per attuare operazioni che, a intuito, capiamo rendere più spedita la nostra navigazione.
Sicuramente non mettiamo in correlazione i pasticcini virtuali con l’aumento esponenziale delle offerte pubblicitarie che riceviamo, né tantomeno con lo strano coincidere dei nostri interessi personali con gli articoli informativi che il menu del nostro motore di ricerca ci propone ad ogni aggiornamento: ricette di manicaretti esotici per chi si dedica alla cucina, curiosità sulle carrozze della Regina Elisabetta per chi ha adocchiato i pettegolezzi sulla Megxit, tutorial di pianoforte per chi ama la musica e così via. E invece i misteri insondabili del web trovano spiegazione proprio nei cookie, piccoli file che collegano l’utente ai siti consultati e che permangono nel suo dispositivo finché non venga chiesta con una procedura specifica la loro eliminazione.
Dall’uso tecnico al commerciale
Inventati e utilizzati per la prima volta dall’ingegnere americano Louis Montulli nel 1994, avevano come scopo originario garantire l’identificazione corretta dell’utente nelle operazioni via web che richiedessero sicurezza totale, come pagamenti, home banking, registrazioni a servizi anagrafici e sanitari e via dicendo; potevano persistere per periodi più o meno lunghi nella memoria del dispositivo, ma sempre con scadenze precise e predeterminate.
Da un iniziale uso strettamente tecnico, però, si è passati velocemente ad un’utilizzazione commerciale, impiegando i dati di ogni singola navigazione per conoscere e valutare preferenze e gusti dell’utente, orientando “su misura” le proposte conseguenti di contenuti informativi ed offerte promozionali. Consentendo l’utilizzo dei cookie noi permettiamo di localizzarci, di monitorare le nostre visite ad una certa pagina e la loro durata, e soprattutto di conoscere i nostri interessi nel settore dell’e-commerce estendendoli a terzi anche senza la nostra autorizzazione. Gli occhi segreti e avidi di questi ultimi “attori” sono i cosiddetti “supercookie”, che controllano la nostra navigazione senza che possiamo rendercene conto ed eliminarli.
Far… bucato a fine giornata
Appurato il peso di questa indebita ingerenza, l’Unione europea ha provveduto nel 2011 a regolare con una legge apposita l’uso dei cookie, imponendo ai siti web di informare gli utenti circa il loro utilizzo e la loro tipologia con il breve messaggio che leggiamo più e più volte al giorno: “Noi e alcuni partner selezionati potremmo usare dati di geolocalizzazione precisi (…) al fine di archiviare e trattare dati personali per (…) annunci e contenuti personalizzati, osservazioni del pubblico, sviluppo e perfezionamento del prodotto”. E di questo, ahimè, non ci possiamo liberare a monte; possiamo però eliminare a valle i dati registrati, a navigazione conclusa, seguendo le istruzioni che ogni motore di ricerca impartisce (ma solo su nostra richiesta) per accedere alla sezione cronologica e cancellare gli indirizzi consultati: un elenco lungo quanto la vita del nostro telefono, se è la prima volta che lo consultiamo. Abituarci a ripetere la pulizia almeno a fine giornata può essere paragonabile ad un’operazione di igiene quotidiana come lavarsi i denti: può limitare il danno ma non lo elimina alla radice, visto che ormai (tutti ne siamo perfettamente consapevoli) la nostra esistenza digitale offre ulteriori, immense finestre di osservazione e controllo, ben più grandi e pericolose delle imposte dietro cui occhieggiavano le pettegole dei tempi andati, e a cui dobbiamo purtroppo adattarci con ossequiente rassegnazione.
Docente di scuola superiore, scrive da anni articoli e saggi di osservazione critica su dove stanno andando il costume e la società, con acutezza di analisi e di giudizio. Vive e lavora a Roma dove ha seguito e segue tantissimi studenti in lezioni di recupero e corsi di doposcuola. Dice dei cristalli di brina:
“Sono belli ma pungono”.
