Importanza non procrastinabile di rivalutare la montagna nell’interesse di tutti

Anna Carissoni

Tra le tragiche conseguenze che la pandemia si lascerà alle spalle mi sembra di cogliere anche qualcosa di positivo: la consapevolezza della necessità di dare la priorità a valori non economici, ma indispensabili sia alla salvezza dell’economia globale che a quella delle persone e del Pianeta. Riflessione che si addice particolarmente ai territori montani ed al loro futuro minacciato dallo spopolamento, dal degrado, dalla subalternità alla cultura urbana.
Le polemiche sulla chiusura anti-contagio di tante stazioni sciistiche in Italia hanno dimostrato che “le piste da sci stanno alla montagna come le spiagge a pagamento stanno al mare” – come ha scritto Paolo Cognetti –: come al mare si possono fare tante cose belle senza dipendere dagli stabilimenti balneari, tante cose belle si possono fare in montagna indipendentemente dagli impianti sciistici che spesso insistono su una montagna disboscata, violentata dalle ruspe, cementificata, ridotta a discoteca assordante, luna-park per metropolitani più o meno annoiati; anche fonte di lavoro per molte persone, certo, che però potrebbero “riciclarsi” nell’artigianato, nell’agricoltura e nei servizi, le “tre gambe della montagna”, secondo la definizione di Mario Rigoni Stern.

Antica frazione di Arnosto, sul tetto della Valle Imagna
Antica frazione di Arnosto, sul tetto della Valle Imagna, oltre quota mille metri. Qui c’era la dogana tra la Repubblica di Venezia e il Granducato di Milano. Siamo ai piedi del Resegone. È un nucleo molto caratteristico, di cui si sono occupate riviste nazionali italiane e straniere per l’architettura molto identitaria del territorio, in particolare per i tetti in piode. È stato fatto un rilevante intervento di ristrutturazione e conservazione. Potrebbe diventare ancor più un esempio di valorizzazione del territorio e della Valle, quando finalmente si osasse realizzare un itinerario turistico allargato, in una terra cantata dall’abate Stoppani nel capolavoro “Il Belpaese”, terra che diede i natali a personaggi di fama internazionale, in primis il famoso architetto Giacomo Quarenghi che pianificò San Pietroburgo con l’imperatrice Caterina II (siamo nel 1779).

Il Covid ci ha dimostrato, con il boom di presenze della scorsa estate sulle montagne, che esse offrono molte possibilità alternative: soprattutto quella di un nuovo approccio alle valli alpine ed alla loro gente, fatto di semplici camminate, di curiosità e di attenzione alla vita ed al lavoro quotidiano delle piccole comunità, a loro volta mobilitate per l’accoglienza, l’accompagnamento e l’accudimento degli ospiti.
In questa prospettiva, è alle comunità stesse che spetta il compito di riscoprire l’eredità culturale dell’antico mondo di vita contadino, di recuperare la consapevolezza della loro identità adattandola a modelli sociali ed economici adeguati ai tempi moderni, creando tutte le alleanze e i collegamenti necessari a fare “massa critica” per insegnare anche alla politica come armonizzare umanità ed economia.
Forse la pandemia ci ha indicato la strada per una possibile rinascita: mi chiedo se siamo così sicuri che l’economia montana non possa prescindere dalle piste da sci, oltretutto complici di un inquinamento ambientale sempre meno sostenibile; se non siano possibili una montagna “diversa” e un turismo meno invadente, meno consumistico, un turismo “fuori pista” che in montagna non porti solo clienti e denaro, ma anche umanità, cultura, rispetto dell’ambiente, nuova vita.