“Lo so che tanti pensano che in comunità ti facciano il lavaggio del cervello, ma non è vero, tu non perdi la tua identità, anzi, ti metti in discussione, capisci cosa devi cambiare di te stessa e ci lavori continuamente… A volte penso che trascorrere un po’ di tempo a SanPa farebbe bene anche a tante persone che si ritengono normali”.
(Rosangela, 48 anni, rigenerata a San Patrignano)
Rosangela che a San Patrignano ha trascorso sette anni, ricorda il suo vissuto con l’eroina, poi la svolta e la rinascita. “Dopo 3 anni ero un’altra e decisi di dedicare 4 anni in quella comunità ad aiutare gli altri”.
Anna Carissoni*
“A me Vincenzo Muccioli e San Patrignano hanno semplicemente salvato la vita, e scusate se è poco. Ho letto in questi giorni delle polemiche suscitate da un filmato sulle vicende della comunità e mi riprometto di vederlo, ma non credo che scoprirò qualcosa di nuovo in merito: io ci sono stata per sette anni, e credo di averne capito l’unicità e l’efficacia, perché lì le tante …fumoserie psicologiche che vengono applicate in altre strutture cosiddette di recupero – lunghe sedute, riunioni di gruppo, tante parole inutili che lasciano il tempo che trovano – non hanno spazio, ti devi confrontare con la vita vera, il lavoro, le persone che ti stanno accanto, i conflitti relativi, le regole, i successi e gli insuccessi, le illusioni e le delusioni….Insomma la vita vera, dalla quale il tossico si è autoescluso con la sua dipendenza ….”.
Rosangela, 48 anni, nasce in una famiglia normalissima e tipica dei nostri paesi: madre casalinga, padre gran lavoratore, una sorella che arriva quando lei è ormai adolescente. Dopo le Medie, trova lavoro in una filatura della zona e, nel tempo libero, ama recarsi in discoteca: “iniziano qui le prime esperienze con qualche spinello, e poi il salto nell’eroina. Il salto era quasi…logico, e io l’ho fatto, dalla perfetta incosciente che ero”.
Ad un certo punto però drogarsi non è più innocua trasgressione e divertimento: “Diventa un bisogno, un bisogno totalizzante, e allora non riesci più nemmeno ad alzarti la mattina per andare al lavoro…I miei genitori, disperati come si può immaginare, contattano un gruppo degli ‘Amici di San Patrignano’, dove viene loro consigliato di pormi davanti all’aut-aut: o la ragazza si mette in riga o la sbattete fuori casa. Loro, ovviamente col cuore che si spezza, mi sbattono fuori casa, ed io me ne vado, approfittando dell’ospitalità di altri tossici. Un anno così, sto sempre male, mi riduco a pesare 36 chili, finché mi arriva una telefonata da mio padre – solitamente duro e di poche parole – in cui però avverto tutta la sua sofferenza. Allora mi decido e lo prego di venirmi a prendere”.
“Vincenzo non faceva sconti a nessuno”
Segue una settimana di disintossicazione a casa: “Con l’assistenza dei miei e di un medico, la disintossicazione fisica è relativamente ‘facile’, in sette giorni ti riesce. E poi, siccome mi avevano detto che a San Patrignano mi avrebbero presa solo qualora fossi stata consapevole e motivata, decido di partire”.
È il 1993, Rosangela ha vent’anni. A San Patrignano conosce ovviamente Vincenzo Muccioli: “Era una persona forte e di polso, certamente, forse un po’ rude ma capace anche di grande tenerezza. E non faceva sconti a nessuno. Ricordo quando un importante personaggio politico, che aveva una figlia in comunità, gli chiese di portarla a casa per qualche giorno, o almeno di lasciarla uscire per una gita, un pranzo, una cena; Vincenzo fu irremovibile: – Allora prendila e non riportarla più! – gli rispose, per niente impressionato dal fatto che si trattasse di un personaggio molto potente… Un altro aspetto che voglio chiarire è che Muccioli non ha mai chiesto nemmeno 1 euro a nessuno: i famigliari, se ci sono, possono vederti una volta all’anno e portarti dei vestiti, nient’altro, a mio padre e a mia madre in sette anni non è stato chiesto nemmeno un centesimo”.
Rosangela in comunità lavora nel settore della tessitura, quello che le è già un po’ familiare. Ma soprattutto lavora sul suo carattere. L’organizzazione di San Patrignano prevede tanti settori di lavoro: quello dei muratori, degli imbianchini, della scuderia, dei meccanici, dei fabbri, della cucina, della tessitura, delle pulizie, ecc… Ogni settore è diviso in gruppi di circa una decina di persone, ognuno dei quali ha un responsabile: “A capo del mio settore c’era Maria, una signora molto più grande alla quale ancora voglio bene e che ogni tanto sento al telefono: mi ha fatto piangere tanto, con me non faceva certo la ‘mammina’ affettuosa e condiscendente, ma ha capito perfettamente il mio carattere e il mio bisogno di superare la mia timidezza e le mie insicurezze e mi ha messo di fronte alla mia responsabilità. Insomma mi ha aiutato tanto, mi ha fatto ‘crescere’ come persona, e di questo le sarò sempre grata”.

“Ma forse la gente non si rende conto…”
Quanto alle ‘violenze’ perpetrate da Muccioli, Rosangela commenta: “Che chiudesse i tossici più violenti in una stanza, assistiti da una o due persone più forti, è vero, ma forse la gente non si rende conto a quale punto di violenza può arrivare un tossico in astinenza, facendo del male anche a se stesso. In questi casi il contenimento è d’obbligo, le chiacchere non risolvono nulla. Per me è questo il buono di San Patrignano: si lavora tutti, come nel mondo di fuori e intanto ovviamente si parla: non si fanno grandi discorsi più o meno filosofici, ma si discute di problemi reali, dei conflitti che possono nascere tra le persone, insomma delle difficoltà concrete della vita. Quando ero ancora ‘fuori’ ed ero andata da uno psicologo, mi veniva da ridere, perché gli raccontavo tutte le balle che volevo – i tossici sono bravissimi a raccontare balle – e lui mi credeva e le prendeva sul serio…Ci sono stati naturalmente anche quelli che non hanno retto alla ‘disciplina’ ed alle regole e se ne sono andati, la voglia di andarsene veniva anche a me, qualche volta, ma per fortuna c’era sempre la Maria che mi teneva d’occhio e mi aiutava a superare quei momenti, e anche con le altre ragazze ci si teneva d’occhio reciprocamente. So che ora in comunità arrivano tanti ragazzi, soprattutto dal Sud, dipendenti dagli acidi: sono i casi più difficili, perché gli acidi intaccano il cervello ed è quasi impossibile che questi tossici riescano ad uscirne…”.
Il ricordo più bello della sua vita in comunità è la celebrazione del Natale: “Il nostro settore aveva l’incarico di preparare i regali per tutti, mille pacchetti ai quali il responsabile di ogni gruppo allegava una lettera di auguri personalizzata, con un messaggio ‘centrato’ su ciascuno di noi. La sera della vigilia, dopo cena, ci vestivamo da angeli e alla sola luce delle candele passavamo coi cesti a consegnare i pacchetti, era davvero emozionante. A notte ormai alta, Vincenzo apriva i cancelli della comunità ed accoglieva i tossici che bivaccavano là fuori e noi li accoglievamo, preparavamo per loro il letto, li lavavamo, li rivestivamo…Non erano tutte rose, ovviamente, in genere stavano molto male, bisognava prendersene cura e rimetterli un po’ in sesto prima che intraprendessero il percorso previsto….Ma quelle erano davvero notti magiche, ancora adesso rivivo quelle emozioni, non le dimenticherò mai”.

“Sto bene e la mattina mi sveglio felice”
Passano così tre anni. Rosangela a questo punto potrebbe tornare a casa. Lei ci pensa perché la nostalgia di casa è sempre forte ed anche i genitori l’aspettano a braccia aperte. Ma, siccome la responsabile del suo gruppo non ce l’ha fatta ed è scappata, le viene chiesto di sostituirla. Allora ci pensa un po’ e decide di restare: adesso è lei che si sente in grado di aiutare gli altri, impegnando tutta l’energia recuperata e con la forza dell’esperienza acquisita. Quando torna a casa, a sette anni dal suo ingresso in comunità, Rosangela è un’altra donna, matura, piena di voglia di fare.
“San Patrignano mi ha fatta ‘crescere’, adesso non rimpiango nulla. Non sono tornata a vivere in famiglia, anche se ovviamente voglio tanto bene ai miei Vecchi ed a mia sorella con la quale non avevo mai condiviso nulla perché era molto più piccola di me, mentre adesso siamo entrambe donne fatte e il nostro rapporto è bellissimo. Ho lavorato tanto: in una lavanderia, in un ristorante, in un bar… Sono stata per un po’ in affitto, poi ho trovato un nuovo lavoro stabile e ho comprato la casa dove ora abito. Sto bene, sono sempre contenta, la mattina mi sveglio felice. No, non perché mi sono ‘rassegnata’, semplicemente perché ora sono consapevole di quello che sono, sono grata per gli affetti di cui sono circondata – i miei familiari, un compagno col quale però non coabito, i compaesani, i colleghi di lavoro, il mio cagnolino… Faccio belle camminate in montagna, apprezzo le bellezze che ho intorno, ho fiducia nella vita e la ringrazio ogni giorno. Ho imparato che solo se stai bene con te stessa puoi star bene anche con gli altri. E guardandomi intorno a volte penso che, in questo senso, trascorrere un po’ di tempo a San Patrignano farebbe bene anche a tante altre persone cosiddette ‘normali’….”.
*Insegnante e giornalista, collabora a testate italiane e svizzere, occupandosi con passione della difficile realtà educativa del nostro tempo e dei problemi del vivere in montagna. Le sue numerose pubblicazioni dedicate a questi argomenti hanno tutte lo scopo di favorire l’approfondimento, la riflessione ed il ragionamento critico, finalizzati alla consapevolezza ed all’impegno sociale e civile.
