Giuseppe è il santo che ogni anno ci introduce nella primavera, di cui è il riconosciuto messaggero sul calendario. In questo 2021 ci sono due motivi particolari che conferiscono ulteriori significati a questa ricorrenza: i 150 anni da quando Giuseppe fu proclamato patrono della Chiesa universale e l’avvicinarsi della Pasqua. Proponiamo l’intensa testimonianza di uno scrittore, Andrea Mardegan, autore dell’interessante e originale libro “Giuseppe e Maria. La nostra storia d’amore”, con un testo che ci introduce ai giorni della Settimana Santa.
Giuseppe Zois
Quest’anno la ricorrenza di San Giuseppe si apre ancor più a sorprendenti luci che illuminano la grandezza dell’umile falegname di Nazaret, che avvolse di amore e di protezione la vita di Gesù. Siamo nell’anno che Papa Francesco ha voluto dedicare proprio alla santità – nella quotidianità operosa e costruttiva – di Giuseppe. In occasione del 150° anniversario della dichiarazione di San Giuseppe “patrono della Chiesa universale”, Papa Francesco ha pubblicato una Lettera Apostolica intitolata “Patris Corde”, cioè “Con cuore di padre”, il sentimento pieno e costante con cui Giuseppe ha amato per tutta la vita Gesù, chiamato in tutti e quattro i Vangeli «il figlio di Giuseppe».
Un uomo nascosto, di poche parole, che preferiva l’essenzialità dei fatti, in tutte le infinite premure che ebbe verso la sua sacra, speciale famiglia: dal momento del fidanzamento con Maria, alla sua inattesa maternità con tutti gli interrogativi che solcano il cuore di un uomo in certe situazioni, al rasserenamento chiarificatore dell’angelo in sogno. Poi, tutta la vita di Gesù: dalla nascita a Betlemme nelle circostanze note a tutta l’umanità da 2020 anni alla sorpresa dell’arrivo dei Magi, quindi alla fuga in Egitto e definitivo ritorno a Nazaret, fino all’inizio della vita pubblica di Gesù. “Uomo giusto” lo ricorda il Vangelo: un modello per tutti e per ciascuno nei venti secoli della cristianità.
Quest’anno il 19 marzo, sulla porta dell’inizio della primavera – Giuseppe è l’icona di questo esordio di stagione – cade a pochi giorni dalla passione, morte e risurrezione di Gesù.
C’è un testo che favorisce un avvicinamento intenso a Giuseppe per il mistero del matrimonio con Maria, per la riservatezza della loro vita, per quello che dalla vita nella famiglia di Nazaret si irradia nei nostri giorni e nelle nostre esistenze. Ne è autore don Andrea Mardegan, che ha scritto con lungimirante sentire il libro “Giuseppe e Maria. La nostra storia d’amore”, pubblicato dalle Edizioni Paoline. È un viaggio guidato e accompagnato con parole misurate, delicate, cesellate con amore come fa l’orafo con il metallo più prezioso. Un itinerario completo, scandito dai fatti che conosciamo delle esistenze di Maria e di Giuseppe nel disegno della salvezza: l’innamoramento con tutti i trasalimenti che sa donare, attese, speranze, progetti, sogni, poi i tormenti di una maternità a sorpresa, i chiarimenti che arrivano dall’Alto, una vita dominata da una parola che avvolge tutto: dedizione nell’amore che per Giuseppe va oltre la stessa totalità, considerando le particolari circostanze in cui si ritrovò. Mardegan ha ripercorso con fedeltà nella rivisitazione storica ed evangelica ma anche con un’arte creativa che colpisce per la finezza del racconto impegnativo ed esigente – come si può ben comprendere – della relazione tra Giuseppe e Maria. “Un’unione esemplare che continua a ispirarti” è il filo rosso che unisce tutto quanto è sgorgato dal cuore e dalla maestria di scrittore di Mardegan.
Considerando il calendario e l’approssimarsi della Pasqua, ho scelto un capitolo che ci immerge nel clima di questa ricorrenza con tutti i significati per il mondo cristiano. Mardegan immagina il dialogo interiore di Maria con Giuseppe suo sposo già entrato nell’eternità, durante lo squarcio affettivo, lo strazio di una madre dagli abbandoni e dai tradimenti di Gesù alla salita al Calvario, dalla crocifissione alla morte, ma poi anche allo splendore del mattino con la pietra rovesciata del sepolcro.
Il testo qui proposto si intitola: “Giuseppe nel mistero pasquale di Gesù”. Le illustrazioni che accompagnano e scandiscono le parole sono opera di Anna Maria Trevisan.

Giuseppe nel mistero pasquale di Gesù
Il vuoto dell’assenza di Giuseppe si fece più vivo nei giorni della passione di Gesù. In quell’estremo viaggio verso Gerusalemme. Quel giovedì mattina della settimana di Pasqua, Gesù era con me. Era l’alba e stava pregando con la testa poggiata sulla mia spalla, e io pure ero adagiata su di lui. Le mani strette. Gesù mi disse: «È per domani» e io, percorsa da un nascosto turbamento, che cercai di frenare con la forza dell’obbedienza e dell’amore, risposi semplicemente: «Sia fatto», come avevo risposto all’angelo. Aggiunsi: «Sarò con te. Vorrei solo che ci fosse tuo padre Giuseppe».
Mi rispose: «Mamma, coraggio, non piangere. Papà è qui con noi perché ha vissuto in anticipo tutto e ora ci dona la sua forza: quando si sentiva solo a proteggere te e me, ed è dovuto fuggire, e poi tante altre volte nella vita, e non sempre te lo diceva. Temeva il riavvicinarsi di quella prova. Giuseppe, mio padre, ha portato la sua croce prima di me, insieme con te. E così ha preparato la mia croce, l’ha portata con me, insieme con te».
Gli chiesi allora: «Gesù mio, abbiamo fatto bene, quando eri bambino, a fuggire in Egitto, a rimanere là? Forse non siamo stati sufficientemente coraggiosi? Forse non abbiamo avuto la fede che sposta le montagne? Dovevamo vivere la prudenza o il coraggio? La prudenza è coraggio, è amore?».

lo sposalizio di Maria con Giuseppe.
Guardarsi dalla tentazione di chiudere il cuore
Mi rispose: «Mamma, quando non è ancora giunto il momento, occorre fuggire. Io ho vissuto con voi da fuggitivo molte volte, sin dalle fasce. Tu mamma e papà vi siete ritrovati un destino da fuggitivi. A volte la fuga è custodia, è protezione, è sapienza contro il nemico che incalza. Quando il nemico incalza, è necessario custodire il bene prezioso che si porta nel cuore e nel grembo. Anche ai miei discepoli ho insegnato a evitare i luoghi ostili. Ci sarà un tempo, e non lo stabilite voi ma il Padre mio, in cui la Parola che il Padre vi affiderà sarà così grande e piena da doverla pronunciare e gridare dai tetti. Custoditela fino a quel momento. E lasciate che si rafforzi di sapienza e amore. A chi capiterà la vita del fuggitivo, a chi capiteranno le persecuzioni dico che è difficile. Guardatevi dalla tentazione di chiudere il cuore, di dubitare di tutti, di vivere nella paura. Custodire l’amore e la vita mia dentro di voi significa guardarvi le spalle, ma abbracciando chi avete di fronte. Come ho fatto io. Sapienti. Furbi come serpenti ma semplici come colombe. Vi ho preceduti nel cammino di salvezza, ma ho bisogno che lo percorriate con me, di nuovo.
Metterete in piedi la mia Chiesa. Ricordatevi che gli uomini sono santi, non le istituzioni. Non le opere. E che anche i santi sbagliano. Ma al Padre mio interessano più i tentativi degli esiti. Il Padre conosce tutto. E vi chiede misericordia per tutti i tentativi sbagliati. Abbiate misericordia, fratelli miei. Amate i fratelli che sbagliano, altrimenti rendete vana la mia croce. Ricorda ai miei figli che la mia Chiesa è il mio corpo. È corpo, è sangue. Nascerà dal mio corpo domani, sulla croce. Se io non avessi fatto esperienza del corpo che tu mi hai regalato, non potrei desiderare una Chiesa che sarà il mio corpo presente nel mondo. Io, che vivo la gioia di guardarti negli occhi e di imparare da te l’amore umano, a questi occhi voglio condurre tutti i miei fratelli. Voglio per loro la bellezza della vita sulla terra che ho avuto io. L’amore di mia madre e l’amore di mio padre. Come potrei volere cose diverse per loro? L’amore dei genitori è il cuore della nostra vita. Con quell’amore impariamo tutti a camminare. Senza quell’amore si soffre tanto. Ma anche chi non ce l’ha raggiunge il Padre attraverso altre vie, attraverso la grazia del mio amore. Non siete mai soli».
Sotto la croce di Gesù, mi tornò in mente quella colomba di legno che Giuseppe mi regalò da bambina. Quando guardavo quella carne bellissima, frutto del mio grembo, piagata e sanguinante, che sembrava rendere vivo quel legno grezzo sotto i suoi respiri e le sue sofferenze inimmaginabili, sentivo l’assenza di Giuseppe al mio fianco e allo stesso tempo, grazie anche a quel ricordo, sentivo la sua presenza invisibile che mi dava forza.

la rassicurazione dell’angelo in sogno. Ciò che è nato in lei è opera di Dio.
Quel giorno sotto la croce, sul Calvario
Lessi l’iscrizione di Pilato: «Gesù nazareno re dei Giudei», e mi ricordai di quel dialogo con Giuseppe, di ritorno dall’Egitto, quando insieme decidemmo di stabilirci a Nazaret. Anche in quel modo Giuseppe stava insieme con me, sotto la croce. Il legno su cui soffriva e moriva Gesù mi ricordava il lavoro suo e di Giuseppe. Quante volte li avevo visti maneggiare travi, modellarle. Legno per la vita, per le mense delle case, per le culle dei bimbi. Anche da quel legno bagnato dal suo sangue, dal mio sangue, stava nascendo la vita.
Quando Gesù disse a me: «Donna, ecco tuo figlio » e al giovane Giovanni che mi stava accanto: «Ecco tua madre», ricordai la morte di Giuseppe, una spada di nuovo mi trapassò l’anima e compresi che quei tre anni di vita pubblica di Gesù mi avevano aiutato a perdere progressivamente tutto per essere pronta a un altro modo di vivere la maternità, proteggendo, accudendo, consolando e amando Gesù in Giovanni e lasciandomi accudire, amare, proteggere da lui, e così in tutti i miei figli. Vidi mio figlio che moriva per amore di tutti noi. Che donava tutta la sua vita, tutto il suo sangue. Dava tutto se stesso, amava, fino alla fine.
Quando quel soldato aprì con la sua lancia il cuore di Gesù che era già morto, mi parve che squarciasse il mio petto. Non c’era limite alla crudeltà degli uomini. Vidi l’ultimo sangue e l’ultima acqua che usciva dal suo costato. Il mio sangue e il mio latte con cui l’avevo nutrito. Con quel cuore aperto ed esposto, Gesù morto mi stava dicendo: mamma, qui c’è la sintesi della tua vita e della vita di papà. Sì, Dio ci aveva chiesto, a Giuseppe e a me, di amare sempre con il cuore aperto ed esposto. Senza sicurezze. Sempre pronto alla donazione e al dolore. Nel cuore aperto ed esposto lo Spirito Santo trova una dimora adatta, lo abita e da lì si diffonde.
Nel nome di Giuseppe di Arimatea, nel suo essere buono e giusto, nel suo comparire come un angelo a consolare il mio dolore sotto la croce di mio figlio, vidi un altro segno della vicinanza di Giuseppe in quei momenti unici. Anche nei suoi gesti vidi Giuseppe. Schiodò il corpo di Gesù con amore di padre e sapienza di artigiano. Lo depose dalla croce. Lo avvolse con un lenzuolo come noi lo avvolgemmo in fasce a Betlemme. Lo depose in un sepolcro scavato nella roccia, dove nessuno era stato ancora sepolto, come noi lo deponemmo nella mangiatoia che non era mai stata la culla di un bambino. Insieme con le altre donne osservai Giuseppe, come deponeva il corpo di Gesù.

Poi vennero la Risurrezione, l’Ascensione e l’Assunzione
Poi venne il riposo del sabato. Non ci fu mai sabato come quel sabato. Il mattino di quel primo giorno dopo il sabato, mentre andavo verso il sepolcro che era ancora notte, la stella del mattino mi ricordò Giuseppe e il suo amore. Gesù risorto e vivo mi abbracciò quando il sole abbracciava la terra e la riscaldava con tutti i colori dell’alba. Lo abbracciai con tutti i colori del mio amore, con tutti i giorni della mia vita. Con la gioia della sua nascita, in braccio a me e a Giuseppe. Con la paura della fuga, in braccio a me e a Giuseppe. Con l’angoscia placata nel ritrovamento: «Tuo padre e io ti cercavamo».
Giuseppe, come sarebbe bello che anche tu fossi qua! Adesso veramente tutto è compiuto quello che ci disse l’angelo: il nostro Gesù ha salvato il suo popolo dai suoi peccati, e il suo regno non avrà fine! È rinato in un modo nuovo e non morirà più. Non lo perderemo più. Non gli faranno più del male.
Pietro e Giovanni mi raccontarono come scomparve ai loro occhi, quaranta giorni dopo, salendo al cielo. Mi consolò pensare al suo incontro con Giuseppe. E mi dedicai a curare la Chiesa nascente, quei figli. Stavo nel cenacolo in preghiera con loro, in attesa della forza dello Spirito Santo che Gesù aveva promesso. Erano circa centoventi e ne parlavo in cuor mio con Giuseppe: “Guarda la tua famiglia com’è cresciuta. Sei il nuovo Abramo, che dall’unico figlio Isacco moltiplicò la sua famiglia come le stelle del cielo e la sabbia del mare”.
Qualche anno dopo Gesù mi chiamò a occuparmi dei miei figli in modo nuovo, assunta in cielo, con il mio corpo di donna e di madre.

“Ora siamo nell’abbraccio senza fine”
Lì ritrovai Giuseppe commosso e vivo, con il suo corpo forte da lavoratore, lì insieme a Gesù, e a tutti i santi. La mia carezza compenetrata nella sua carezza, un prendersi per mano che è oltre il normale prendersi per mano. Giuseppe mi disse: «Ora siamo nell’abbraccio eterno e non c’è cosa che tu senta che non senta anch’io. Seguo nel silenzio ogni tua lacrima e dono ai miei figli la forza che vedo in te. Mi innamoro delle tue lacrime, della tua gioia per i tuoi figli. In vita capivo poco. Qui mi innamoro del tuo amore per tutti e amo con il tuo amore tramite l’amore che ci unisce a Gesù».
Viviamo in cielo quello che avevamo assaporato sulla terra, moltiplicato per cento, per mille, per tutta l’eternità.