La lezione della rondine ingegnere. Anche un nido può dirci che aiutare è gioia. Sempre

“Per San Benedetto, la rondine sotto il tetto”, recitava un antico proverbio. Il santo che inaugurava la primavera, al 21 marzo, è stato… traslocato all’11 luglio, ma questo resta il mese che segna il ritorno sotto i nostri cieli delle rondini, messaggere della nuova bella stagione. Anche in tempo di covid. E questa storia di tre rondini è molto significativa ed istruttiva, carica di insegnamenti davvero “naturali”.

Domenica Salvi*

La mia casa era immersa in un fazzoletto di prati, dai declivi dolci. Poco lontano, un agglomerato di vecchie costruzioni in pietra grigia.
Anche quell’anno tornarono le rondini.
In primavera il nostro tetto fu scelto da una giovane coppia. Erano arrivate in un’alba dagli occhi di malva e si erano posate sui fili della luce che correvano fra il sentiero e l’orto.
Avevano scelto quella povera cascina, qual era l’abitazione dei miei genitori, forse perché circondata da una natura rigogliosa. Con un volo di ricognizione si erano rese conto che la campagna offriva loro materiale a sufficienza per la costruzione del nido. Poco distante, infatti, correva un ruscelletto con plaghe fangose.

Si erano messe al lavoro di primo mattino.
Mio padre, intento a sistemare un muricciolo di confine, di tanto in tanto, interrompeva il suo lavoro per osservarle, incuriosito. Le rondini, come aveva fatto lui, costruivano la dimora per la prole che sarebbe arrivata. Avevano scelto una parte del sottotetto, fra due resistenti travi di legno e, tra un volo e l’altro, portavano fango dal ruscello.
Dal tetto alla campagna. Dalla campagna al tetto.
Fango e stoppie. Paglia e fango.
Lentamente il nido assumeva la tipica forma a coppa. Mio padre aveva riposto i suoi arnesi e le osservava con ammirazione.
Il mattino successivo, però, mi chiamò nel cortile. Aveva la voce mesta e addolorata.
Indicò per terra un cumulo di fango: durante la notte il nido era caduto.
Quanto avrei desiderato che lui, bravo muratore, lo ricostruisse.
Tuttavia le due rondini non si persero d’animo. Dopo aver osservato il fallimento della loro fatica, ricominciarono di nuovo.
Dal tetto alla campagna. Dalla campagna al tetto.
Fango e stoppie. Paglia e fango.
Ma nemmeno quella volta il nido resistette. Prima del tramonto era già crollato.
Non so dire chi fosse più rattristato: mio padre o le rondini. Lo vedevo scuotere il capo e guardare il tetto, sperando che riprovassero di nuovo.
Invece, la sera stessa, le giovani rondini se ne andarono.
Dal palo della luce spiccarono il volo verso la valle.

Disegno delle rondini di Maria Chiara
Individuato il tetto sotto il quale costruire il nido e dopo i primi tentativi falliti, la coppia di rondini inesperte ha chiesto soccorso ad una rondine-ingegnere. Che ha guidato i lavori fino alla realizzazione della “casa”.
Questa è l’interpretazione fatta da Maria Chiara.

Trascorsero due giorni durante i quali il pensiero riandava a quanto era accaduto.
All’alba del terzo, alcuni garriti attirarono l’attenzione di mio padre che scese in fretta le scale di casa; spalancò l’uscio e ciò che vide suscitò in lui una contentezza inenarrabile.
Le rondini erano tornate.
Erano tre e avevano ricominciato a lavorare in modo solerte.
Quella che ritenemmo fosse la più anziana ed esperta, aveva fissato le zampette su una trave; le giovani volavano dal tetto alla campagna e dalla campagna al tetto, per portare materiale.
Fango e stoppie.
La rondine ingegnere, come la chiamammo, sistemava e ancorava il composto in modo esperto e sicuro.
Paglia e fango.
La rondine ingegnere, con maestria e competenza, costruiva un alloggio stabile e compatto.

Mio padre, quel giorno non lavorò. Non voleva perdersi nemmeno un istante di quell’avvenimento straordinario.
Quando giunse il tramonto, il nido fu terminato. Le tre amiche si posarono, allora, sul palo della luce e ammirarono la loro opera.
Anche noi. In silenzio, sul prato dinanzi a casa. Con l’emozione negli occhi e il cuore che zampillava di gioia.
Le rondini rivolsero al cielo il loro cinguettio ciarliero, quasi fosse un cantico di gratitudine.
Poi volarono via ad accompagnare l’amica ingegnere.
Tornarono il giorno dopo. Nidificarono e divennero, loro e i rondinini, i nostri amici di primavera.
Imparammo, quell’anno, che aiutare è gioia. Sempre.

*Docente, editorialista e scrittrice. Vive in una realtà di valle alpina ma ha lo sguardo lungo e il respiro grande di chi sa guardare le cose che contano, i valori che non mutano, l’umanità che dev’essere alla base delle esistenze singole e della comunità. Si impegna attivamente per educare e sostenere nel concreto iniziative di solidarietà.

Domenica Salvi