La scomparsa del prof. Ulderico Bernardi. Da sociologo ha esplorato le migrazioni e raccontato il cambiamento della società

Ha insegnato alla Statale di Milano e nelle Università di Bergamo e Trieste prima di approdare alla prestigiosa Ca’ Foscari di Venezia. Una vita ricca di molteplicità di interessi. Numerosi i libri scritti in svariati campi: dalle migrazioni italiane verso l’Europa, le Americhe, specialmente il Brasile e l’Australia ai cambiamenti sociali. Osservato speciale il passaggio dalla società contadina a quella industriale, con un’attenzione lungimirante alle relazioni tra locale e globale e all’interculturalità.

Giuseppe Zois

Sociologo e acuto analista dei cambiamenti sociali, dai tempi delle migrazioni di popoli – il suo Veneto, ma in generale tutta l’Italia – al passaggio dalla civiltà contadina a quella industriale, Ulderico Bernardi è morto a 84 anni nella città dove viveva, Treviso. Storico docente alla prestigiosa università di Ca’ Foscari a Venezia, Bernardi ha tenuto cattedra nelle università di Bergamo e Trieste e alla Statale di Milano. Era un intellettuale con una impressionante poliedricità di interessi: molto preparato e con una capacità di tenersi aggiornato che stupiva. Sapeva leggere in prospettiva i segni dei tempi e – quello che ne accresceva l’autorevolezza, la credibilità e il prestigio – possedeva una lettura intelligente di fatti e protagonisti, contemperando bene passato e futuro. Una delle sue principali e riconosciute doti era proprio quella dell’equilibrio, che veniva dalla conoscenza profonda della storia e dalla misura nei giudizi che dava, spesso anticipandone la traiettoria e l’esito. Nel suo ricco bagaglio professionale, spiccava la saldezza morale, che gli veniva anche dalla terra delle sue radici, il Veneto.

Angiolo Tommasi, “Gli emigranti”, 1895

Il popolo delle valigie e l’entrata nella modernità

Come si insegnava ai tempi, prima di parlare del mondo, bisogna conoscere la propria geografia, territoriale, umana e sociale: Bernardi l’aveva poi sostanziata con studi e ricerche sulle correnti migratorie fino alle Americhe, in particolare il Brasile, ma anche l’Australia, oltre che naturalmente l’Europa.
Giustamente nella sua biografia si legge che i suoi principali interessi riguardavano “il rapporto tra persistenza culturale e mutamento sociale nei processi di sviluppo; le relazioni tra locale e globale; l’educazione all’interculturalità”.
Impossibile elencare i titoli dei libri che ha scritto: forse aveva perso il conto egli stesso, data la sua fecondità produttiva; lo stesso va detto per l’estesissimo intreccio di rapporti che ha costruito e ampliato con i principali nomi della cultura in Italia e fuori.
Per lunghi anni collaborò con il “Giornale del Popolo” per il quale firmò – con Pepi Merisio (morto lo scorso 3 febbraio) – i volumi “Mira il tuo popolo” e “I mestieri di una volta”. Nel primo ci sono finestre aperte sulla Processione del Gannariente, che si tiene la prima domenica di maggio da Cavergno fino all’oratorio, e sulla Milizia napoleonica di Ponto Valentino nella solennità della Madonna del Carmelo. Nel secondo obiettivo sulle filatrici della Verzasca, sul lavoro nelle cave di Lodrino, su alcuni artigianati in via di estinzione.
Tra le presenze alle quali teneva, ce n’è stata una in particolare: quella di presidente della giuria del Premio Nonino Risit d’Aur (Barbatella d’Oro), con la sua stella di riferimento, Giannola Nonino e con il regista Ermanno Olmi, ai quali era legato anche da antica amicizia. Non a caso si tratta di un Premio che vuole sottolineare i valori millenari della civiltà contadina “ponendosi a fianco di quelle persone che intendono lottare per la salvaguardia dei tesori alimentari che si vorrebbero anonimamente uniformare”. Va aggiunto che il sociologo e scrittore era un provetto viticoltore e godeva fama anche di eccellente vinificatore: il rito della vendemmia e poi il primo vino novello da assaggiare a San Martino erano giorni di festa, come la tradizione voleva.

Grandangolo su vasti orizzonti socio-culturali

Ho avuto il privilegio e la fortuna della firma di Ulderico Bernardi come editorialista per oltre trent’anni nelle testate di cui sono stato responsabile. Ne ho avuto di giornalisti e scrittori, molti di razza: Ulderico era uno di questi, ma aggiungeva al suo apporto il valore inestimabile e sempre più raro dell’amicizia. Non solo: non ho mai conosciuto un uomo – oltretutto con molteplici impegni quotidiani – più puntuale di lui nella consegna dei suoi interventi. Appassionato come pochi di Edith Stein e di Etty Hillesum, ne irradiava spesso le posizioni nella disanima dello scenario politico e spirituale in ottica europea e oltre. Nell’elenco di titoli che popolano il suo percorso e nelle molte realtà scandagliate, ce n’è uno che incuriosisce tutti e anche un po’ sorprende: “Cara Piave”, con quell’aggettivo al femminile per un fiume che ha un posto di grande rilievo nella storia d’Italia. Bellissimo – e consigliato – viaggiare alla scoperta di questo fiume, con l’originalità spiegata del genere femminile. Da sociologo ha esplorato in lungo e in largo l’evoluzione (che spesso è involuzione) della comunità e del senso comunitario con le pagine del volume “Comunità come bisogno”: è un itinerario stracarico di intuizioni e indicazioni, uscito 40 anni fa, nel 1981, e tornato di prepotente attualità al punto da essere ripreso e pubblicato nel 2017 con un aggiornamento che conferisce ulteriore attendibilità alla prima versione. L’aggiornamento consiste in buona sostanza nell’incastonatura di vari fatti e nomi che dimostrano quanto fosse in anticipo l’autore nel leggere il “termometro” degli avvenimenti e all’aggravamento di alcuni fenomeni come il terrorismo, il fondamentalismo, la comunicazione, le pseudo comunità proliferate con la rete. Immancabili in ogni opera gli accenti sull’identità e l’appartenenza, che si trovano anche in libri di cultura e storia gastronomica, come “Il profumo delle tavole”, “Stoccafisso e baccalà nel piatto”, “Creaturam vini”.

Una miniera di letture e riflessioni per tutti

In genere si è portati a incorniciare la figura dell’intellettuale dentro una nicchia distaccata dalla quotidianità vissuta. Bernardi è stato la smentita di questo approccio. Stare con lui era come entrare in una biblioteca senza avere la fatica di leggere: bisognava solo ascoltare ed era un piacere per il patrimonio di conoscenza che aveva e dispensava, a pranzo o a cena dove si faceva a gara per stargli vicino e apprendere segreti di ricette, camminando o viaggiando con lui o ogni qualvolta contestualizzava l’argomento che aveva svolto o andava a trattare. Non solo, ma onorava anche la maestria dei cuochi ed era un intenditore come pochi, nel concreto e nel gusto, senza sdottorare come amano fare certi luminari sul “colore rubizzo e il retrogusto di fragola o di mirtillo” del vino. Mancherà a molti Ulderico Bernardi, innanzi tutto alla moglie Adriana, alle figlie e al figlio e a una moltitudine di amici che s’era creato con il suo carattere e i suoi modi. Mancherà al “suo” Veneto e il presidente della Regione, Luca Zaia s’è fatto interprete del doveroso tributo di riconoscenza “per la produzione letteraria, miniera di riflessioni per leggere e comprendere il Veneto e la sua gente”. Ma mancherà a un incalcolabile numero di studenti, che con lui si sono formati, e di cittadini-lettori che con lui, per decenni, spesso ogni mattina si informavano e imparavano la lettura critica di uomini e storie.

Comunità come bisogno
Domani in “Atmosfere” focus su un tema forte anticipato e sviluppato da Ulderico Bernardi: “Comunità come bisogno”. Com’è cambiato l’orizzonte in questi 40 anni: terrorismo internazionale, fondamentalismo, comunicazione e pseudo comunità proposte dalla rete…