L’amaro viale del tramonto

Quando una persona deve prendere la triste strada di una residenza per anziani.Le amare considerazioni di chi, al crepuscolo di un’esistenza, deve abbandonare la propria casa, le proprie abitudini. È uno strappo che per molti equivale a un morire prima di morire, con la sensazione malinconica di essere giunti in un punto di non ritorno. Esempi positivi di giovani che hanno adottato anziani e viceversa. Decisiva l’importanza di non emarginare.

Pietro De Luca*

“Mentre vivevo gioventù ed età adulta, progettavo ed eseguivo sogni e ambizioni, ho pensato a tutto, anche al naufragio per il sopraggiungere di impedimenti, malattia o morte improvvisa, ma mai, proprio mai, ho pensato che sarei finito qui dove mi vedi”.
L’anziano signore lo incontriamo in una di quelle case che si dicono di “riposo” e invece sono, realisticamente, di “attesa” che morte sopravvenga. Le appelliamo anche case “serene”, “ville serene”, anche se di sereno c’è solo il cielo che tutto sovrasta e generosamente copre.
Non c’è livore, ribellione o certificazione d’ingratitudine per chi è rimasto ad abitare la casa naturale o la villa allestita per risiedervi fino all’ultimo. C’è appena la tristissima constatazione che già questa nuova sistemazione è un regalo, dopo aver calcolato che due più due fa quattro. Rimanere nella propria dimora era impossibile.
Ma lo strappo, lo strappo è stato quasi un morire prima di morire e raggiungere una nuova residenza equivale a finire in un punto di non ritorno.
Qualche altra volta può accadere che sulla soglia dell’anzianità la visione è finanche nitida: ospite in una casa serena è mèta messa a bilancio. Ma neanche in tal caso il dolore provocato dallo strappo è meno intenso.
Da quando abbiamo assegnato illusoriamente alla città il ruolo dove la vita si vive a guisa di una retta (senza inizio e senza fine), abbiamo anche ospedalizzato la nascita e la morte. Forse dovevamo, per un’idea di progresso, forse anche di sanità e persino di igiene. Ma ciò non toglie che in città arriviamo belli e fatti e dalla città ci portano via un po’ prima del dovuto.

Cuori divisi per scelte ineluttabili

Sono trascorsi decenni da quando questo percorso è diventato automatico, ma non per questo è convinzione metabolizzata. Restano sempre residui nell’animo che sanno di espulsione, autocritica fin quasi a sentirsi d’ingombro, disturbo e intralcio.
Chi debba prendere decisioni rispetto agli anziani ha finanche il cuore diviso, neanche loro avevano previsto, anche loro si sono trovati dinanzi a scelte ineluttabili.
Si può partire (da casa) epperò non necessariamente morire: gli anziani agli occhi dei più giovani e figli e nipoti agli occhi degli anziani?
È quanto dovremo saper progettare, già oggi e non domani. Per esempio: case-albergo di piccole dimensioni, costruite in ciascun comune; in numero più adeguato nelle città; non certamente in luoghi isolati, lontani dalle voci e dal calore umano. In qualche località italiana è possibile rinvenire case per anziani accanto a palestre e campi sportivi per giovani dilettanti. Quelle voci, quel variopinto mondo che scalpita fa compagnia. E non è detto che disturba. Eccola qui la parola che gli anziani amano: disturbare. Se sono disturbati sono anche considerati.

Poco sereno e molto inquietante

In una casa di riposo, dove per collocazione territoriale il riposo è anche troppo, si reca due domeniche al mese un gruppo di giovani e adulti, disposti a tutto: dall’aiuto all’igiene personale al servizio mensa; dalla disponibilità all’ascolto all’animazione ricreativa. Gli anziani stanno meglio e i giovani raccontano meraviglie di quello che accade loro nei giorni a seguire. Giovani che adottano anziani e anziani che adottano giovani. Non si sa bene chi giova a chi, se appena si registra che l’avventura dura da anni e che alcuni giovani padri vi hanno imbarcato vispi pargoletti.
La sciagura più pesante è subire “casa serena”, farla passare per una specie di località destinata alla rottamazione. Qual è il segnale che ciò sia avvenuto?
Semplice. Quando gli anziani raccontano agli estranei visite e poi visite, telefonate e telefonate, doni e ancora doni che riceverebbero dai congiunti. Nella maggior parte dei casi si tratta di esagerazioni (non è quella la frequenza); in altri casi prevale la pietosa bugia; in taluni altri di gigantesche scuse per non dichiarare veri e propri abbandoni.
La pandemia ha scoperto il lembo del mantello, e così siamo riusciti a constatare la povertà esistenziale di tante case serene. Di sereno c’è poco, molto poco. Di inquietante, molto di più. Il boato del virus ha infranto i vetri di quelle finestre. C’è molto da guardare e tanto da progettare. Ma non per coloro che nelle case di riposo già si trovano. No. Se vogliamo intervenire in tempo è per preparare un futuro per noi che adesso, in qualche modo, ne trattiamo.

*Giornalista, commentatore di fatti di cronaca e di costume, di letteratura, soprattutto di giovani, religione, scrive per i giornali della sua terra – la Calabria dove è parroco di Paola, in provincia di Cosenza – e per quotidiani e riviste anche estere. Ha collaborato per anni al “Giornale del Popolo”, è coautore di libri (suoi scritti figurano nei libri “David Maria Turoldo, Il coraggio di sperare”; “Il dono di Turoldo”, “Segni di terra. Sul cammino dei viaggiatori dello spirito”.

Pietro De Luca