Anna e Greta, un parallelo sgradevole e impossibile. Una ragazza morta nel lager di Bergen-Belsen a 15 anni, dopo essere stata costretta a una vita segregata: la sua odissea nel dolore fissata nelle pagine del suo drammatico e sconvolgente Diario. Un’altra ragazza che vive in una condizione di alta visibilità mediatica, benemerita per la sua campagna in difesa dell’ambiente e del clima, ma lontana da qualsiasi rischio.
Marianna Colavolpe
Può sembrare un volo pindarico partire da una riflessione su due giovani donne per arrivare a parlare di “limite e misura” nella comunicazione; ma l’esempio di come si possa rischiare di superare l’armonia della misura l’ho proprio riscontrato in un’analogia tra Anna Frank e Greta Thumberg, proposta recentemente durante un’intervista andata in onda su Rai Uno, in occasione del ricordo dell’Olocausto. Analogia impossibile, infatti solo l’età accomuna le due adolescenti, ma non certo la vicenda umana. Le loro vite non sono sovrapponibili, e neppure parallele. Anna Frank si staglia, come vittima dell’Olocausto, nel cielo dei martiri, e non può essere il termine di paragone di un confronto tanto diseguale; la sua breve e drammatica vita può e deve essere invece un monito per la coscienza di tutti, affinché si faccia un solido argine a nuove simili tragedie. Pensare di attualizzare una storia, che è un doloroso unicum, con uno stridente paragone che associa nella stessa lode la giovane Greta, protagonista mediatica dei nostri giorni, non sembra entro i limiti della possibilità realistica. Affiancare Anna e Greta, come simboli di coraggio, è quantomeno azzardato.
Che fine ha fatto la coscienza del limite?
Anna, privata della propria libertà, chiusa per anni tra le anguste mura di un casa-nascondiglio, per sfuggire alla follia antisemita, mentre le veniva imposta la rinuncia al sogno del futuro, perdeva la sua lotta per la vita, morendo a soli 15 anni, dopo un calvario doloroso, nel campo-lager di Bergen-Belsen. Anna, autrice di un drammatico racconto quotidiano dell’orrore che stava vivendo, consegnato alla memoria dei popoli. E Greta, adolescente che vive in una personale condizione di benessere, di protezione e direi di favore; senz’altro meritevole di grande apprezzamento per quanto fa e dice a favore di una più diffusa e maggiore consapevolezza ambientale, ma ben lontana dal correre qualsiasi rischio. Greta, libera di muoversi alla luce del sole, di viaggiare per il mondo, di esprimersi come meglio desidera; accolta e ascoltata in contesti autorevoli, acclamata, coccolata e spesso adulata; per lei tutte le porte si spalancano. Per Anna nessuna porta si aprì, se non quella del suo cuore straziato, che lei ha affidato alla storia, insieme alla sua giovanissima vita frantumata dall’odio insensato e immotivato di altri uomini.
Ed ecco perché, proporre un’analogia tra queste due giovani donne vuol dire oltrepassare, nell’eccesso della comunicazione, il senso delle giuste proporzioni.
Allora torno al tema della “misura”, indicata dalla saggezza antica come guida nei pensieri nei comportamenti e nelle parole, ma che sembra ormai abbandonata. Certo che, in un universo in cui l’uomo è divenuto creatore di intelligenze artificiali, manipolatore della genetica, costruttore o distruttore di vite umane attraverso le grandi tecnologie, dilatando continuamente i propri spazi di esposizione, si riscontra sempre meno la coscienza del limite. Ora, questa inattesa crisi globale ha fermato la corsa verso l’umano onnipotente, palesando lo svuotamento dell’esaltazione dell’uomo come padrone del mondo e facendo emergere quanto egli sia in realtà impotente e, al di là delle parole in piena, in balia non soltanto di un microscopico virus, ma persino dell’angoscia che ne deriva. Tutto indicherebbe quindi la necessità di un ripensamento di sé e la capacità di ridimensionarsi, nella consapevolezza di dover trovare un migliore equilibrio. Eppure, al contrario di ciò, la dismisura, l’iperbole e l’enfatica autocelebrazione sono divenute una costante, nel profluvio di parole che quotidianamente ascoltiamo. Come se allo scadere dei contenuti del potere si possa ovviare con l’orgia di “parole in libertà” di cui, continuamente, ci giunge l’eco.
Il labile confine tra verità e menzogna
Forse ce ne accorgiamo maggiormente perché, sempre chiusi tra le pareti domestiche, siamo ancor più raggiunti dalle mille voci diffuse dai canali mediatici e dai tanti rilanci attraverso le vie digitali, come i social di Internet, vere casse di risonanza della comunicazione, ma sta di fatto che ci sembra esplosa l’abitudine ad alzare i toni, ad estremizzare, a sentenziare o addirittura a blaterare su qualsiasi argomento e in qualsiasi campo, dalla medicina alla sociologia, dalla storia alla politica, all’economia e chissà cos’altro. “Poliedrici” critici e opinionisti, spesso senza vera contezza di ciò di cui si parla, ritengono forse che qualsiasi affermazione possa essere accettata e digerita da chi ascolta, come se non ci fosse più alcun confine tra verità e menzogna, tra logica e incoerente fantasticheria. Ma, che questa cattiva e dannosa abitudine allo sballo comunicativo sia bene accetta, da parte di chi vi assiste non è affatto sicuro, anzi, molti guardano allibiti e sconcertati allo spettacolo poco edificante e inopportuno che si offre, anche da parte di commentatori importanti e personalità pubbliche. È davvero nutrito l’elenco delle assurdità e delle sconcezze intellettuali che si sentono di frequente, nelle dichiarazioni di personaggi di forte peso sociale, politico, comunicativo e, da utenti della comunicazione, abbiamo il diritto e ancor più il dovere di dire, con forza, che siamo piuttosto stanchi di chi parla senza riflettere sul significato e sulla ricaduta delle proprie parole, per poi magari ritrattare o modificare quanto detto, a riprova della trascuratezza con cui si rilasciano opinioni e dichiarazioni.
L’equilibrio tra libertà e razionalità
La meditazione filosofica, già millenni orsono, scandagliando l’essere umano nella sua complessità interiore, ci ha ammonito su quanto importante sia per l’uomo avere consapevolezza della propria misura, “Katà Métron”, intesa come giusta proporzione che evita gli eccessi e come equilibrio tra libertà e razionalità, da cui scaturisce anche la moralità. E si sente il bisogno di tornare a quel criterio indicato, che in passato era più avvertito da chi aveva responsabilità nella comunicazione, ma che oggi è largamente deficitario. Platone, Aristotele e altri maestri della filosofia hanno avvertito l’importanza di ricordare all’uomo il senso del limite, come fondamentale valore su cui costruire la propria dimensione di vita. Limite e misura, non divieti esterni imposti per condizionare la libertà dell’uomo, ma virtù della sfera razionale e morale, humus su cui coltivare i pensieri e le parole, per saper agire con libertà, ma nel rispetto delle giuste proporzioni e dell’autenticità.
Allora sì, è il momento giusto per tornare alle origini, a quel mondo greco, fucina dell’impianto culturale della nostra civiltà, ancorandoci a quel faro indicato: la “giusta misura”, da praticare anche nella quotidianità, nelle idee e nelle parole che di volta in volta offriremo al nostro prossimo.
Romana di nascita e veneta di adozione, laureata in Filosofia, abilitata anche all’insegnamento di pedagogia e psicologia. Tra i banchi della scuola ha lavorato con la consapevolezza che essere docente e guida per tanti allievi rappresenti un impegno di grande responsabilità ed entusiasmante al tempo stesso. Ha anche conseguito la specializzazione e il titolo di Storico dell’Arte e in tale veste ha collaborato con alcune Soprintendenze dei Beni Culturali, per la catalogazione di opere d’arte. Tra gli interessi più tenacemente coltivati c’è il piacere della relazione comunicativa con gli altri, che trova anche nella scrittura quale mezzo efficace per essere espressa.
