Nati per rendere fruibili spazi altrimenti destinati al degrado. Non solo, ma vengono lottizzati e affittati agli orticoltori dilettanti del XXI secolo terreni privati. La passione per l’orto ha radici molto più profonde di quanto possa sembrare…
Emanuela Monego*
Fucsie, gardenie e camelie si guardano intorno mestamente dagli scaffali spogli; sono lontani i tempi in cui andavano a ruba per abbellire balconi e giardini. Ormai sono disponibili solo pochi vasi per specie, piantine smilze e sparute che occupano poco spazio; la parte del leone spetta, all’inizio della primavera, a vegetali dozzinali e anonimi, i cui cartellini però sfoggiano pomodori rubicondi, sgargianti peperoni e melanzane lucide. Tradizionalmente confinate nei consorzi agrari, le piante da orto hanno ora invaso i vivai, i negozi di ferramenta e hobbistica, le bancarelle degli ambulanti, non tanto in campagna quanto soprattutto in città.

La campagna, lo sappiamo bene, è dominio dell’agricoltura meccanizzata, dell’allevamento intensivo, dei concimi chimici e dei pesticidi; ci lavora, per sopravvivere, la manodopera straniera spesso sottopagata. Negli spazi verdi delle periferie cittadine, invece, proliferano gli orti amatoriali: nati per rendere in qualche modo fruibili spazi altrimenti destinati al degrado, stanno aumentando di numero in modo esponenziale; sempre più spesso, inoltre, lotti di terreno privato vengono ritagliati ed affittati (il canone oscilla fra i 300 e i 400 euro l’anno) agli “ortisti” dilettanti, vincolati da precisi contratti e da regole di rispetto ambientale. Chi non può disporre di un orto, ripiega sul balcone: con i vasi adeguati e le debite attenzioni anche qui si possono coltivare e raccogliere pomodori, fagiolini, lattughe, utilissime aromatiche e peperoncini piccanti: tutto assolutamente e rigorosamente bio.

Il passatempo dell’angolo verde, anche sul balcone
E così i “contadini per hobby” non sono più gli anziani nostalgici della vita di paese, ma professionisti che dedicano a questo passatempo soldi, fatica e la fetta migliore del loro tempo libero, esibendo con orgoglio il raccolto a parenti e vicini di casa. Come spiegare questo fenomeno in un mondo ormai dominato dalla tecnologia?
La prima risposta ci rimanda alle origini ancestrali, ad una realtà che condividiamo con tutti gli esseri viventi: la terra è madre. Un concetto presente nelle religioni più antiche e riproposto dalla letteratura e dall’arte: la terra è il grembo che ci alimenta, senza di essa non ci sarebbe vita. E’ un valore che acquista sempre più importanza in tempo di crisi: vedere il cibo che germoglia, cresce ed è pronto da raccogliere e da gustare placa le nostre paure. Mentre i riferimenti di sempre, i puntelli della vita sociale si sgretolano e vanno in frantumi, l’angolo più elementare del nostro io pensa: “in questo spazio potrei produrre quanto mi serve per sopravvivere”. Molto meglio del rifugio antiatomico durante la guerra fredda: è la sensazione dell’autosufficienza, giusto un gradino prima dell’arca di Noè.

La soddisfazione di veder crescere la propria insalata…
La seconda risposta scaturisce dalle paure collettive generate dai problemi ambientali. Anche se alziamo le spalle, ostentando noncuranza, in un cantuccio della nostra mente si nasconde l’incubo di una terra desolata, arsa e bollente, senza più nulla da mangiare per nessuno; a ciò si aggiungono i timori per il cibo inquinato, per le mutazioni genetiche sugli organismi vegetali, per come vengono trattate frutta e verdura con coloranti e conservanti affinché rimangano giorni e giorni inalterate sui banchi dei supermercati. Constatare che, nonostante lo scioglimento dei ghiacciai e l’avanzare del deserto, la nostra insalata sta crescendo rigogliosa, ci permette di tirare un sospiro di sollievo: “qui sono al sicuro!” dice il solito angolino elementare del nostro io, rozzo ma sincero. E così si vanno formando vere e proprie comunità di appassionati, alimentando un indotto di strumenti, vestiario, accessori, bulbi e sementi; medici, avvocati, insegnanti e imprenditori indossano cappello e stivaloni e imbracciano la vanga anche perché, diversamente da palestre e piscine, gli orti restano accessibili in barba a tutte le varianti Covid ed alle restrizioni ad esse conseguenti.

Chi di noi non ha sorriso leggendo del povero Bertoldo che, stimato dal re Alboino per il suo acume e quindi precettato alla sua corte, deperì fino alla morte per la nostalgia della sua vita da “villano”, rimpiangendo il sapore delle amate rape e dei gustosi fagioli, insostituibili nonostante i manicaretti e le delizie dei banchetti regali? Antesignano e precursore delle future nostre problematiche, il nostro amico aveva capito tutto, sia pure con dodici secoli di anticipo…. I riferimenti essenziali della vita non cambiano, sebbene il tempo passi.
*Docente di scuola superiore, scrive da anni articoli e saggi di osservazione critica su dove stanno andando il costume e la società, con acutezza di analisi e di giudizio. Vive e lavora a Roma dove ha seguito e segue tantissimi studenti in lezioni di recupero e corsi di doposcuola. Dice dei cristalli di brina:
“Sono belli ma pungono”.
