Era una cronaca annunciata da quegli studiosi che analizzavano la situazione con realismo, sulla base della loro esperienza. Senza atteggiarsi a futurologi, avevano previsto le molteplici conseguenze della vita terremotata dal coronavirus. Le clausure forzate hanno favorito una miglior conoscenza all’interno della famiglia, ma ha fatto scoppiare purtroppo molte unioni fragili. Sono in aumento ovunque separazioni e divorzi, in crescita litigiosità fino alla violenza. E la crisi economica sta moltiplicando le preoccupazioni, con chiusure di fabbriche, riduzioni di organici, licenziamenti…
Quando ripartiremo dalla catastrofe che la pandemia ha seminato e come ci ritroveremo all’uscita dal lungo e semioscuro tunnel.
Giuseppe Zois
Il 2020 è stato l’anno dei sorrisi nascosti dalle mascherine, dell’amuchina e degli igienizzanti in ogni angolo, dai negozi alle chiese, delle strette di mano negate e degli abbracci mancati, del pendolo tra rivisitazione della vita alla luce dell’altruismo e dell’apertura da una parte e dell’incertezza e della diffidenza ossessive. Certo, un anno che ha comunque segnato e cambiato la vita.
Tutti lo ricorderanno con un nome globalmente nefasto: coronavirus, o per “Covid-19” acronimo dell’inglese CoronaVirus Disease e 19 (l’anno di identificazione del virus). Il nome tecnico è SARS-CoV-2. Comunque lo si chiami si è trattato di una pandemia che è in debito con il pianeta per il dolore, le sofferenze, i lutti che ha lasciato dappertutto – la curva delle morti è in continua salita – gli sfregi alla dignità umana con addii in straziante solitudine. Il flagello che ha devastato la Terra ha cancellato in un colpo solo la memoria di più di una generazione.
L’attore e regista Daniele Finzi Pasca, quello del magico Cirque du Soleil, ha scritto con toccanti, delicate parole che “nel mondo dal quale vengo i vecchi li teniamo come stretti compagni di viaggio, spremendo dalla loro anima tutte le gocce di mestiere che possono e vogliono condividere. Anche se non hanno più voce per cantare, anche se l’incedere sulle tavole di un palcoscenico è incerto, anche quando sembrano dimenticare le note, i passi di danza e le battute, i maestri acrobati, attori, danzatori e musicisti noi ce li teniamo stretti, li osserviamo con ammirazione perché sappiamo che sono i depositari dei segreti del nostro mestiere”.
I morti di covid nel 2020 secondo i dati OMS, sono stati più di 1.700.000 (con 75 milioni di persone contagiate): è come fosse passato uno tsunami globale che ci ha portato via un patrimonio di incalcolabile valore in esperienza, saggezza, storie che sono andate perse e che resteranno – ciascuna – nei cuore di quanti non hanno potuto neppure sussurrare ai loro congiunti – padri, madri, fratelli, sorelle – un “perdonami se non sono potuto restarti accanto nell’ultima ora, se non ti ho potuto stringere la mano, darti un abbraccio”.
Restano nuovi incolmabili, squarci affettivi, anche rabbia e indignazione per ritardi, disorganizzazione, mala sanità, inefficienze colpevoli, solo in parte compensate dalla cura, dalla professionalità, dall’umanità, dalla donazione di medici, infermieri, personale sanitario in senso ampio, eroici fino a pagare con la vita quella che sentivano come una missione. Una generosità totale, di cui è icona mondiale il medico cinese Li Wenliang, il primo ad annunciare il coronavirus: non venne creduto, fu fermato dalla polizia, minacciato, screditato prima di poter tornare in corsia e soccombere al virus che aveva cercato di sconfiggere. Accanto alle moltitudini di camici bianchi che si sono prodigati in corsia, dentro ospedali, cliniche, residenze per anziani, nelle abitazioni dei malati, è doveroso ricordare l’interminabile elenco che a vario titolo si è mobilitato ed ha rischiato per servire e aiutare gli altri: dai portinai ai camionisti, dai maestri ai cronisti, dalle cassiere ai negozianti, dai volontari ai sacerdoti è un firmamento di stelle che brilla sul cammino di tutti e di ognuno, una luce e un motivo di speranza per ripartire dalle macerie prodotte dalla pandemia e dalla crisi che ha fatto esplodere.
Difficile, forse impossibile non sentirsi più fragili, tra paure e debolezze di ogni natura, nella prova di una tale tempesta. Adesso c’è la parola “dopo” che ci perseguita e inquieta da mesi, in continuazione, giorno e notte tra altalenanti speranze e continui rinvii che diventano frustrazioni. Siamo spinti dal futuro, ripeteva il famoso biologo e genetista francese Jean Rostand (1894-1977), che concludeva le interviste con una raccomandazione ricorrente: “Si deve amare la ricerca, ma soprattutto la vita, che è di ogni giorno. Rispetto il sapere, amo la verità, ma troveremo salvezza solo nell’amore”. Pensiamoci. Questo è il primo e più urgente cantiere.