Bei tempi quando nella civiltà contadina i ragazzi in gruppo facevano il giro del paese, mascherati alla bell’e meglio e si divertivano a passare di casa in casa, ottenendo qualche “spagnoletta” o frittella o qualche spicciolo. Momenti di allegria e spensieratezza che oggi si rimpiangono.
Gabriella Pezzoni Borgnis
È carnevale, ma è difficile dire che si respira l’aria che dovrebbe essere tipica di questo periodo. Pare che il coronavirus abbia avvolto anche questo interregno dell’allegria e della spensieratezza. Di più: sembra essersi messo la maschera a sua volta – con le sue “varianti” – per appesantire ancora di più il clima che da un anno percorre il mondo.
Non è per gusto di nostalgia, ma quanto si rimpiange il carnevale divertito e divertente di una volta, con la sua autenticità di puro divertimento! Un evento molto atteso, al quale ci si preparava in casa, pensando a quale maschera si sarebbe adottata, con relativo costume da preparare.
Io però non ho molti ricordi del carnevale da bambina se non che quello della sfilata lungo le vie del paese.
Eravamo una quindicina, tutti allievi di scuola elementare, e passavamo a bussare di casa in casa per ricevere qualche spagnoletta e qualche cioccolatino, a volte anche qualche moneta. Vestiti e truccati alla bell’e meglio. C’era un particolare che mi dava fastidio: alcune donne, curiose e sprovviste di tatto, mi dicevano mostrar loro le mani e con la mia ingenuità ci cascavo e mi sentivo dire: “Sì, l’è la Gabriella!”.
Mi riconoscevano come “la moretta dalla pelle secca”. Questo non era piacevole per me. A scuola, immancabile c’era la poesia sul carnevale da studiare a memoria, ma non c’erano festeggiamenti.

Risotto, luganighe, trippa e balli
Più tardi, da ragazza mi ricordo che alcuni uomini del villaggio cominciavano molto presto, al mattino, con i preparativi del “risotto e luganighe”, a suon di musica nostrana. Alcune giovani, con giorni d’anticipo, decoravano di lunghe ghirlande le sale del palazzo comunale per il ballo della sera e della notte. Per i giovanotti questi momenti erano il pretesto di “farsi in avanti” con la ragazza verso la quale si nutriva simpatia. Momenti magari preceduti da un qualche bicchierino in più, per trovare il coraggio dell’approccio. E le ragazze ci stavano, consapevoli che il carnevale l’avrebbe fatta da galeotto. Se a mezzogiorno si gustava il buon risotto sulla piazza del paese, alla sera c’era la trippa solo per i lavoratori e dopo cena si aprivano le danze, sulle note della fisarmonicista del paese. Alcune donne già attempate ballavano da sole e contribuivano a dare curiosità e interesse ulteriori allo spettacolo.
Tanto divertimento e contatti a chilometro zero. Nessuno o comunque pochi a quei tempi arrivavano da fuori. In genere si sfoggiavano consumi recuperati in qualche solaio, vecchi abiti dei nonni.
Tempi passati, carnevali cambiati
In seguito sono nate le società carnevalesche, molto ben organizzate. Attorno a queste ruota un gran numero di aiutanti volontari che si mettono a disposizione per la realizzazione e la buona riuscita delle manifestazioni.
C’è gente che lavora per lunghi periodi quasi tutto nel preparare carri allegorici con i quali partecipare alle varie sfilate di carnevale, dal Rabadan a Bellinzona al Nebiopoli di Chiasso, con la coda dei carnevali ambrosiani a Biasca e Tesserete… Con il passare degli anni diversi negozi si sono industriati per il noleggio di costumi e altri accessori di circostanza.
I piccoli eventi di paese si sono trasformati in grandi eventi con tanta mobilità, con impegno notevole da parte degli organizzatori che non sempre viene ripagato come meriterebbero. Spesso, sotto gli effetti dell’alcol e purtroppo anche di droghe l’obiettivo del sano divertimento va a deragliare , sconfinando in comportamenti eccessivi, in vandalismi, anche episodi di violenza, alcuni anche gravi, malauguratamente.
E allora ci si chiede: ma questo è ancora carnevale?
Cerchiamo comunque di essere positivi anche a dispetto dei tempi e guardiamo avanti con fiducia. Mai come ora sentiamo il bisogno forte di riallacciare i contatti sociali, di tornare a sorridere, ad abbracciarci. E allora guardiamo al carnevale da questa prospettiva che gli è connaturata e viviamolo come evento di rinascita.

Le allegre scenette con gli scolari
Da docente, ricordo con piacere i carnevali festeggiati a scuola. Il venerdì precedente la settimana di vacanza, gli allievi di tutto l’Istituto potevano arrivare mascherati. I più grandicelli, a gruppetti, intrattenevano i più piccoli con scenette preparate nei giorni precedenti. Altri si improvvisavano cantanti. Bello vedere come certi allievi timidi e un po’ impacciati riuscivano a calarsi nella parte, a esprimersi e a far emergere il loro talento nascosto. Lodevole questo loro impegno.
Penso che se si continua su questa strada il carnevale a scuola sia un evento da mantenere.
C’è comunque un aspetto che va considerato e che andrebbe salvaguardato come tradizione: il carnevale era un tempo di evasione, un tempo in cui ci si liberava da certi condizionamenti e sotto la maschera si dava un più libero corso alla propria spontaneità, al proprio essere, all’identità di ciascuno. La religione fece seguire al carnevale il periodo della quaresima, tempo di rinunce e penitenze in vista della Pasqua. Non a caso c’è ancora oggi il rito penitenziale e significativo dell’imposizione delle ceneri con il famoso “Memento homo”. Al venerdì poi c’era l’obbligo del mangiar di magro che culminava al Venerdì Santo con il magro e digiuno. Il martedì grasso, ultimo giorno del carnevale secondo il rito romano (per l’ambrosiano c’è un allungamento fino al sabato successivo), era considerato il giorno del banchetto in cui si faceva scorpacciata di cibo, prima del periodo della quaresima, ossia i 40 giorni che precedono la Pasqua. Il martedì grasso, per la cronaca, cade quest’anno il 16 febbraio, mentre il sabato del carnevale ambrosiano (Capriasca, Tre Valli, ma anche qualche presenza nel Locarnese, per esempio a Brissago) cade il 20 febbraio.