La donna tra archetipi e bisogno di concretezza. Intanto le va riconosciuta una grande capacità di organizzazione e di flessibilità. Nonostante i progressi compiuti, in troppe circostanze Eva deve continuare a remare controcorrente.
Nicoletta Noi-Togni*
Sia nella ricorrenza dell’8 marzo, giornata della donna, sia in quella dei 50 anni del diritto di voto e di eleggibilità per le donne in Svizzera dello scorso 7 febbraio, le donne si sono chieste se ci fossero motivi per festeggiare. Forse sì, forse no. Se festeggiare significa ricordare le donne coraggiose che 50 anni or sono aprirono la strada alle donne svizzere verso una pari dignità di pensiero e di decisione e a tutte quelle che prima di loro su quella stessa strada hanno lottato per raggiungere lo stesso obiettivo, allora si, festeggiare è giusto. Se invece pensiamo a quanto il modello del 1971 (o di molto tempo prima) sia sempre ancora presente nella nostra vita, allora ci accorgiamo che da festeggiare c’è ben poco. D’altra parte l’archetipo in questione può essere cosi ben “mimetizzato” da non lasciarci accorgere che esista. Potrebbe perfino darsi che neppur chi lo usa questo modello ne sia consapevole. Chi invece ne è consapevole è colui che esercita la violenza sulla donna, chi intimidisce, chi umilia, offende e non rispetta. Sia nella forma della brutalità macroscopica – quella che può costare la vita alla donna – sia in quella verbale che intimidisce la vittima e a poco a poco ne distrugge l’autostima e la voglia di vivere.
Discriminate in carriera e nei salari
Ad ogni ricorrenza che segna – o dovrebbe segnare – un traguardo significativo per il progredire della donna nella società, nella professione e nella politica, ci interroghiamo su progressi e regressi. Tentiamo un bilancio accorgendoci che non è cosa facile. Ogni 8 marzo sentiamo donne giovani e meno giovani dire di non aver mai avvertito un trattamento discriminante dai loro colleghi uomini. Bello se cosi è (o fosse). Eppure la disparità di salario tra uomo e donna è un dato di fatto e l’ascesa troppo lenta delle donne in politica una realtà. Per anni ci siamo chieste perché le donne vengano tenute, o si tengano, lontane dalla politica. Cinquant’anni fa chi non voleva accordare alle donne il diritto di voto e di eleggibilità diceva che le donne “non avrebbero dovuto sporcarsi con la politica”, partendo dal presupposto quindi che la politica è cosa sporca e perciò per soli uomini o più probabilmente per mantenere la donna in una condizione di minorità, come direbbe Kant; in seguito il motivo veniva ricercato nella mancanza di strutture per la cura dei bambini e nella difficoltà di far convivere famiglia, professione e politica. Eppure le donne hanno una grande capacità di organizzazione e di flessibilità.
La differenza che conta e va salvaguardata
Qualcuno però oggi ha approfondito la discussione sul troppo lento progredire, soprattutto verso cariche alte, della donna in politica. E si sono trovate risposte che esulano dal solo sentirsi a disagio causa dicerie varie, malanimo e insulti (succede quando si è in un Esecutivo), ma trovando risposte che vedono nelle stesse forme istituzionali e negli assetti politici che scandiscono i tempi delle legislature, un deterrente all’entusiasmo ed alla creatività delle donne che fanno politica per raggiungere fattivamente degli obiettivi, per realizzare e concretizzare il loro lavoro. D’altra parte – dice chi ha approfondito il tema – il concetto stesso di democrazia è un concetto storicamente maschile. Significa quindi che la donna si trova, sempre e ancora, a nuotare contro corrente. A meno che – dice chi osserva – la donna si uniformi talmente all’uomo da annullare la differenza con lui. Eppure è proprio la differenza che conta e che vogliamo!
Ma c’è un motivo perché la donna tenda più che l’uomo alla concretezza, ad un risultato tangibile del suo lavoro? Credo di sì e credo che vada ricercato nella natura stessa della donna. Un motivo, per modo di dire antropologico. Infatti cosa c’è di più tangibile, concreto, innegabile che mettere al mondo un bambino? Che senti già dentro di te quale elemento riconoscibile quando incomincia a muoversi e che alla nascita recepisci con tutti i sensi come “cosa” compiuta e viva, generata da te con il tuo sangue e con il lavoro delle tue cellule. Un essere umano, morbido e perfetto che consegni al mondo quale risultato di un tuo sforzo ed anche di un tuo dolore. Una “cosa” che puoi toccare, che nessun altro ha potuto fare al posto tuo, un risultato vero e tangibile. Che la donna forse, per sua natura, cerca di realizzare in tutti gli ambiti della vita. Anche in politica. E se non ci riesce, lascia.
*Sindaca di San Vittore, deputata al Parlamento retico a Coira, con formazione infermieristica e di pedagogia, Bachelor in Storia della Filosofia. Scrittrice, ora impegnata nell’ottenimento di un Master in Scienza, Filosofia e Storia delle religioni, con una tesi dedicata a Jeanne Hersch. La sua visione della politica: interpretare le attese delle persone e della comunità, puntando sempre alle cose belle, utili, condividendone gioie, dolori e speranze.
