(G.Z.) – In forma strettamente privata, al Famedio di Lugano è stato dato l’addio all’attrice, regista, scrittrice e poetessa Ketty Fusco, una donna che ha saputo essere grande protagonista sulla scena sempre restando se stessa: dolce, fine, sincera, molto comunicativa. Era una che sapeva comprendere l’altro, gli altri che aveva di fronte, trasmettendo il suo calore umano, facendo percepire la sua vicinanza, la compartecipazione alle vicende di vita degli amici, nelle gioie, nelle preoccupazioni e nei dolori che segnano i giorni. I mass media le hanno tributato il dovuto riconoscimento che merita una carriera esemplare e al tempo stesso straordinaria, anche per la molteplicità delle sue dimensioni comunicative con la parola e con le interpretazioni, sia quelle personali sia quelle che plasmava con le sue regie.
Sul “Corriere del Ticino”, Matteo Airaghi ha titolato il ritratto di Ketty Fusco salutandola come la “signora del teatro” per “classe e sensibilità davvero d’altri tempi” e ricordando le “Innumerevoli e prestigiose le sue partecipazioni e i suoi ruoli radiofonici e sul palcoscenico, in collaborazione con i maggiori registi dell’epoca da Alberto Canetta a Sergio Genni, da Carlo Castelli a Luigi Faloppa fino ad Antonio Ballerio così come con le più prestigiose compagnie locali e non”.
Airaghi ha ben colto e sottolineato “quella sensibilità nell’ uso sapiente della voce erano soltanto la punta dell’iceberg di un modo speciale di esistere e di portare a teatro, alla radio o sulle pagine di un libro, in prosa o in versi, la meraviglia e le emozioni di quella straordinaria avventura che chiamiamo vita. La sua voce ci mancherà”.
Su “la Regione” Beppe Donadio ha messo in evidenza “spessore e curiosità” attraverso la testimonianza del compagno di scena e di regie, Antonio Ballerio e di “un esordiente alla prosa radiofonica di nome Flavio Stoppini”. Bellerio ricorda Ketty Fusco come «compagna di lavoro inesauribile e instancabile, sempre disponibile. Mai un lamento, si è sempre spesa a tantissimo senza mai far pesare il suo potere. Con autorevolezza e grande tecnica».
Per Flavio Stoppini, narratore, poeta, regista e sceneggiatore, Ketty Fusco è «una delle persone che più mi hanno ispirato per il lavoro che faccio. Da aiuto regista giovincello che faceva le prime esperienze con lei in registrazione, ricordo che una volta mi disse: “Studia, studia, l’importante è che studi”. E studiare significava «ascoltare ore e ore di radiodrammi da lei prodotti con la sua visione limpida, con le sue scelte azzardate, e con questo punto fermo di pensare al racconto radiofonico all’interno del servizio pubblico come occasione per formare le persone».
Molto intenso e toccante il ricordo di Ketty Fusco scritto dal vescovo Pier Giacomo Grampa (impossibilitato a presenziare) e letto da don Luigi Pessina. Lo pubblichiamo integralmente.

Si è spenta la sua voce ma ci restano
le parole che ha scritto e ci ha detto
Il commosso ricordo dell’attrice e scrittrice nel saluto del vescovo Pier Giacomo Grampa,
letto al Famedio di Lugano da don Luigi Pessina.
Prendendo congedo da Ketty mi sono domandato cosa significasse per me questo distacco definitivo.
Ketty fu soprattutto voce e volto. Voce della radio, voce del teatro, voce della vita, voce della poesia diretta, spontanea, concreta, semplice e pur non priva di metafore intense e incisive.
La voce di Ketty si è spenta come si spegneva la radio nei vecchi apparecchi. Oggi si schiaccia un tasto e di botto l’apparecchio si spegne. Una volta si girava la manopola adagio, lentamente, sfumando fino al silenzio pieno.
Chi l’ha seguita in queste ultime settimane, nonostante i condizionamenti pesanti della pandemia, sottolineava questo spegnersi lentamente, sfumando fino al silenzio pieno. E la voce di Ketty è entrata nel silenzio dell’eterno e del mistero. Quella voce così sonora, cristallina, delicata, chiara, senza cadenze, senza inflessioni particolari, amica e trasparente. Si è spenta la voce di Ketty, ma rimane l’eco del suo passaggio tra noi e le parole che ha scritto, ci ha detto, ci ha lasciato non sono un richiamo alla voce del fanciullino di pascoliana memoria, ma la voce delicata e forte che non teme d’affrontare le questioni inquietanti del nostro esistere. La voce che ci richiama piuttosto Carducci:
“Che è mai la vita ?
È l’ombra d’un sogno fuggente,
la favola breve è finita,
il vero immortale è l’amore”.
IL SUO VOLTO, ESPRESSIONE DI LUMINOSITÀ COMUNICATIVA – Con la voce perderemo il volto vivo di Ketty, quel volto di una bellezza non nascosta, armoniosa, affascinante. Il volto è ciò che connota, individualizza le persone; il volto che manifesta la luce del cuore, il volto così importante per esprimere l’identità, la luminosità comunicativa.
Il volto che è il desiderio e lo scopo dell’incontro. Canta il salmista: “mostrami il tuo volto, Signore”. Il cristianesimo è tutto in questo desiderio incontenibile. Ora Ketty è nella luce del volto di Dio, con cui ha avuto un rapporto più esistenziale, che devozionale, come ci fa sentire il testo che la figlia Lina mi ha passato.
Sei l’amico tradito
e ritorni a offrire il perdono,
l’innocente che implora giustizia,
lo specchio del giusto
e additi la via della pace,
l’amore che invano il perverso
ferisce irridendo: tentazione
di un bene insidiato dal ragno
che avvolge le menti nel filo
vischioso dell’odio. Ma a dicembre
quel grido sfinito di madre
e l’eco di un no senza fine.
L’INTUIZIONE CHE IL CRISTIANESIMO È AMORE – In questi anni, soprattutto dopo l’avvento di Papa Francesco, si è parlato molto della dimensione misericordiosa di Dio. Ci aiuta ad avere la percezione del tradimento da parte nostra, che non impedisce a Lui di tornare a offrire il perdono; a Lui l’innocente che implora giustizia e irradia speranza, lo specchio del giusto che addita la via della pace. E poi quella metafora forte del ragno che avvolge le menti nel filo vischioso dell’odio. Ecco l’intuizione che il cristianesimo è amore, il vero immortale dell’esistenza è l’amore, che rifiuta il filo vischioso dell’odio. E a Natale quel grido sfinito di madre, eco di un no senza fine. Non per niente per la Chiesa il giorno del passaggio non è che il dies natalis e la morte contiene anche il mistero della Pasqua. Che è passaggio a un’altra nuova condizione di vita nella pienezza dello Spirito.
Quando tutto sarà finito non ci viene incontro il nulla, ma la vita immortale dello Spirito.