Smemorati? No grazie. Facciamo attenzione ai rischi di una vita dominata dalla tecnologia

Stiamo rinunciando in misura crescente all’uso di carta e penna per affidarci ai dispositivi che la modernità ci propone. E perdiamo un patrimonio di risorse di cui conosceremo il valore quando l’avremo dilapidato. Siamo al paradosso che internet e il computer ci “esplorano” e conoscono più di quanto noi stessi immaginiamo. I mezzi tecnici sono utili ma non sostitutivi della memoria.

Marianna Colavolpe*

Sono forti gli entusiasmi di chi usa ed abusa dei mezzi più innovativi nell’informazione, e sbandiera tutti i vantaggi offerti dagli strumenti di alta tecnologia che si sostituiscono alle capacità umane.
Così, non per criticare ad ogni costo le conquiste della scienza, e neppure per ostentare una nostalgica rievocazione di tempi ormai superati dalla inevitabile modernità, è bene riflettere sui rischi che tale modernità può comportare alla nostra umana, e dico umana, esistenza. Viene da chiedersi se questo eccesso di supporti tecnologici non vada a impoverire il patrimonio di conoscenze ed energie, che sono le nostre personali risorse. C’è il rischio che si sia portati su strade diverse da quelle che vorremmo percorrere, o che si diventi supini a una strisciante distrazione da temi, problemi e relazioni che dovrebbero invece starci a cuore. E c’è il rischio che si perdano persino le attitudini coltivate nel tempo.

L’errore di rinunciare all’operosità mnemonica

Certamente tra tutte le funzioni umane che vanno presidiate c’è, sul podio, il complesso sistema della memorizzazione, per noi assolutamente prezioso. Negli ultimi anni, in verità, quasi tutti hanno salutato, con fervore, i primi mezzi tecnici che ci avrebbero permesso di non doverci più preoccupare di allenare la nostra memoria, per registrare ed imprimere nella mente una quantità davvero notevole di informazioni. E, dopo esserci a lungo lamentati per tutti quegli esercizi di ripetizione che a scuola, quella degli anni addietro, si dovevano fare, finalmente si poteva direbasta a filastrocche, declinazioni, coniugazioni, tabelline, poesie, date, nomi e canzoncine. Basta con tutto quello che faceva passare ore ed ore per memorizzare cose che – sembrava – non avessero alcuna immediata utilità. E pian piano, a ben riflettere, siamo diventati sempre meno inclini e abili a fissare qualcosa nella memoria, preferendo affidarci agli archivi predisposti da altri. È vero che, rispetto al passato, è di molto aumentato il carico di informazioni di cui necessitiamo, nelle nostre attività quotidiane, e ricordare tutto può essere più difficile; ma, proprio per questo, abbandonare il terreno della operosità mnemonica è di certo un errore.

Perché faticare tanto quando c’è Google?

Se la memoria dovesse perdere la sua autonomia e diventare eterodiretta, alla lunga, potrebbe portare a una deviazione da noi stessi, senza ritorno.
Forse si è troppo frettolosamente messa al bando la “noiosa” memorizzazione per fare largo alle memorie artificiali che utilizziamo in ogni istante delle nostre giornate. Tutti, negli uffici, nelle case e sempre più anche nella scuola, hanno cavalcato la moda dilagante di usare cellulari e la rete di internet con i tanti servizi di comunicazione offerti dal web. E un focus andrebbe fatto proprio sulla scuola, dove si può formare un pericoloso nodo scorsoio per la facoltà mnemonica, perché sono soprattutto le generazioni più giovani, anche indotte dai recenti assetti didattici, a valersi in modo assiduo di sistemi informativi che allettano e sembrano soddisfare con estrema velocità ogni richiesta. Ma questo è davvero, un beneficio? Cominciamo a chiedercelo. Messi da parte quaderni, taccuini e agendine su cui si scrivevano appuntamenti, date, numeri di telefono e annotazioni varie, ora basta un clic per avere sotto gli occhi tutto ciò che serve, interrogando il nostro telefono cellulare o il nostro smartphone. E non serve neppure memorizzare poesie, dati storici, scientifici, linguistici, tanto si trovano in un batter di ciglia sui potenti computer a nostra disposizione. Così, liberati dal fastidio di essere impegnati nell’esercizio del ricordare, ci si è rallegrati e gettati a capofitto nell’utilizzo di tutti i sistemi dotati di memoria tecnologica, ripudiando senza rimpianti le ore spese ad imparare le preziose formule scientifiche o gli splendidi versi di immortali poeti.
E sembra avere persino senso la domanda di qualche studente convinto che la memorizzazione sia ormai caduta in disuso: –Ma prof., perché dovrei imparare a memoria “per me si va nella città dolente…”* oppure “ i cipressi che a Bolgheri alti e schietti van da San Guido in duplice filar…”?** Se mi serve, basta che cerchi su Google.

Il complesso sistema che governa mente e cuore

Ma no, non è proprio così. E si può rispondere a quello studente che quei versi, ripetuti tante volte fino a renderli contenuti ben interiorizzati, diventeranno fibre vitali. Fibre del nostro intelletto, di quel sistema complesso e meraviglioso che ci fa produrre idee, ci fa provare emozioni, e può regolare la ritmica del cuore. Diventeranno insomma elementi personali, intimi, e saranno lì, pronti ad aiutare, ad emozionare e a tenerci compagnia, e lo faranno anche senza che si debba chiederlo. Ho sempre in mente il racconto di un giovane alpinista che, disperato dopo un terribile incidente che gli aveva portato via le gambe, ritrovò nell’eco improvviso di una poesia di Novalis, imparata a memoria sui libri di scuola, il valore, la bellezza e la forza della vita, comunque essa sia.

Il rischio di trasformarci in isole

La memoria non è solo la somma di nozioni “di servizio”, ma è lo scrigno che custodisce il patrimonio di tutte le nostre esperienze che nel tempo, più o meno lungo della nostra vita, si sedimentano nella coscienza, così da formare il sostrato della vita. Su di esse si conforma anche la nostra identità, ciò che ci consente di riconoscerci per quello che siamo e di essere riconosciuti da chi ci osserva dal di fuori, per quello che è il nostro mondo interiore. La memoria è un’eredità spirituale che non si può perdere, perché diventeremmo come un albero senza le sue radici, debole, malfermo e suscettibile di cadere ad ogni soffio di vento. Ma perché essa viva in noi è necessario averne cura, sollecitarla ed esercitarla continuamente perché non si atrofizzi divenendo inutilizzabile, quando ne volessimo ritrovare la presenza e l’uso. Guai al momento in cui “dimenticassimo” come avvalercene. Quindi bisogna fare molta attenzione, soprattutto nel formare i più piccoli che hanno tutto da imparare, a non relegare l’uso della memoria tra le attività secondarie o addirittura sgradevoli ed inutili. Bisogna fare attenzione a non consentire la pigrizia nell’apprendimento, che ha per alibi e surrogato l’uso comodo e modaiolo degli strumenti tecnologici, che abbiamo a nostra disposizione.
Questo tempo difficile che stiamo attraversando, con il lunghissimo isolamento forzato, nonostante la piena di mezzi tecnici che subentrano in sostituzione dei rapporti personali, ci sta segnalando che non c’è macchina che possa sostituire il valore della presenza dell’uomo reale con tutte le sue abilità, come fulcro delle relazioni umane.
Se si comprende che c’è il rischio concreto che si diventi tutti degli “smemorati”, con la conseguenza di trasformarci in un insieme di isole che non comunicano tra loro, se si comprende che i ponti che ci collegano poggiano sulla nostra memoria collettiva e individuale, allora è bene che si smetta con l’abuso, sempre più esteso, e si torni all’uso dei dispositivi tecnologici solo come sussidi, e non come sostitutivi della nostra preziosa facoltà di ricordare.
È per questo che tornare a coltivare l’esercizio della memoria dovrebbe diventare il più “bel gioco” da insegnare ai nostri bambini.

*Dante: Divina Commedia
**Carducci: Davanti San Guido

*Romana di nascita e veneta di adozione, laureata in Filosofia, abilitata anche all’insegnamento di pedagogia e psicologia. Tra i banchi della scuola ha lavorato con  la consapevolezza che essere docente e  guida  per tanti allievi rappresenti un  impegno di grande responsabilità  ed  entusiasmante al tempo stesso. Ha anche conseguito la specializzazione e il titolo di Storico dell’Arte e in tale veste ha collaborato con alcune Soprintendenze dei Beni Culturali, per la  catalogazione di opere  d’arte. Tra gli interessi più tenacemente  coltivati c’è il piacere della  relazione comunicativa con gli altri, che trova anche nella scrittura quale mezzo efficace per essere espressa.