Soddisfatti e svergognati nel teatrino della quotidianità

In un paio di generazioni, c’è stato un salto triplo: da un mondo in cui tutto era proibito ad uno in cui non si arrossisce più.

Emanuela Monego

“Non farlo neanche di nascosto, perché il buon Dio ti vede sempre…”: si diceva così, una volta, ai bimbi titubanti, quando si intuiva in loro la prima volontà di trasgredire. E in questo modo ti inculcavano il senso del proibito, rovinando il gusto della ditata clandestina nella Nutella, del cambio d’abito non autorizzato, delle prime unghie smaltate e della boccata di sigaretta galeotta. Reazione legittima di sopravvivenza, il ricorso alla bugia: quando si rischiava, per essere ineccepibili, di vivere da penitenti, l’uso della menzogna (perfezionata nella tecnica con la reiterazione) permetteva di indulgere alle piccole trasgressioni tipiche dell’infanzia e dell’adolescenza, mantenendo però netta la distinzione fra cosa fosse lecito e cosa no, indispensabile alla formazione del concetto di coscienza.

Ai tempi del Grillo Parlante

“Ascolta la tua coscienza…”: ecco comparire un altro giudice, invisibile ma granitico anche quando cercavamo di trattarlo come il Grillo Parlante di collodiana memoria. Dal senso di colpa e di vergogna spalmato su tutti i campi del vivere sono derivate tante brutture: la peggiore forse prende forma in quelle persone (ormai poche, per fortuna, e rigorosamente sopra i cinquanta) che, per apparire perfette, hanno soppresso in sé i sentimenti, la libertà, la fantasia, la gioia di vivere, e cercano di conseguire lo stesso risultato nei malcapitati con cui si relazionano. Contro questi tristi figuri è stato opposto un rifiuto generazionale, in nome del diritto sacrosanto dell’individuo ad essere ciò che è, non ciò che si vorrebbe fosse.
Dopo decenni di lavoro, dove siamo arrivati? Intanto ci siamo liberati della paura di far trasparire i nostri errori veniali, il che dovrebbe aver reso migliore la vita, rendendoci più liberi e positivi e dissolvendo l’impulso stesso alla trasgressione. Che però purtroppo è umano, insito nella nostra natura fin dai tempi di Adamo ed Eva, ed oggi si esplica in comportamenti molto più nocivi: al posto della marmellata c’è l’orco cattivo in chat, invece della sigaretta ci sono il drink e lo spinello, magari prima di mettersi al volante, al posto del sotterfugio c’è l’atto di bullismo, con gravità crescente fino al momento in cui un giudice emette la sentenza che ti cambia la vita. Eppure, anche nel momento del castigo “istituzionale”, piove sempre dal cielo il microfono di un giornalista che annega la vergogna nello spettacolo, e con la messinscena di un ben poco credibile “Mi dispiace tantissimo, non volevo…” trasforma scandalosamente tutto in scoop.

Gogna medievale
La vergogna era un castigo ulteriore rispetto alla pena. La gogna serviva proprio a rendere pubblica la colpa del condannato, esponendolo al biasimo e al dileggio di tutti

L’elastica coperta del “tanto si sa che…”

Passi per il gossip, che si è sempre nutrito di cibi piccanti, ma l’esposizione di magagne, prepotenze, sozzure, porcherie e violenze anche gravi (incidentali o volontarie che siano) al dibattito in punta di opinione, ben più adatto ad un talk show che a un tribunale, è un incentivo alla normalizzazione della colpa, che diventa un atto di vita quotidiana come lavarsi i denti o fare la spesa.
Se questo accade per la cronaca privata, sulla reprensibilità del comportamento di chi svolge pubbliche funzioni è ormai stata stesa la spessa coperta del “tanto si sa cosa succede”. Benedetti gli antichi samurai, che pur di non essere disonorati dai loro sbagli risolvevano la questione con le loro affilatissime spade! Passare da un angolo del ring all’altro, da una poltrona all’altra, da una gabbana all’altra non desta neppure più meraviglia: sanatoria per chi ruba, sanatoria per chi mente, eterno riciclaggio di personaggi che non si sforzano neanche più di rinnegare i loro proclami rivelatisi, alla prova dei fatti, ciarle, invenzioni, imprudenze e stupidaggini; tante stupidaggini per un pubblico smemorato, perché in questo teatrino mistificatorio la memoria dei fattacci viene attaccata e condannata come “rancore”. Non scandalizziamoci allora davanti alle truffe, agli imbrogli, alle cattiverie di amici fidati e parenti stretti: la mancanza pubblica legittima quella privata, o quanto meno autorizza all’estromissione della coscienza (quell’inutile Grillo Parlante, che ancora respira sotto il mattone…) dalle azioni piratesche. Ecco perché, mentre un tempo l’umanità fronteggiava le catastrofi con la solidarietà e con i legami d’affetto, oggi alle minacce della malattia e della miseria reagiamo cannibalizzando con ferocia non tanto il nemico, quanto e soprattutto chi si fidava di noi.