Un lungo viaggio fra i mutevoli scenari dell’emarginazione e delle droghe

Per combattere lo spaccio dei paradisi sintetici non bastano “le forze dell’ordine”: occorrono quelle morali. Chi traffica in polverine e in compresse è un mercante di morte: e deve provvedere la giustizia. Per la prevenzione la famiglia, e poi la scuola: intanto ci sono molti preti che si dedicano al recupero, e il laico Muccioli, che fu uno dei primi missionari, andò in galera, lui, non i corruttori”.
(Enzo Biagi, Corriere della Sera, 9 novembre 1999)


Avvicinamento alla più grande comunità di accoglienza sorta a Coriano, sopra Rimini: “San Patrignano”, voluta e portata avanti da Vincenzo Muccioli. Un interesse riacceso di colpo dal documentario di Netflix, in un mix tra “luci e tenebre”, a 25 anni dalla morte del fondatore.

A riaccendere i riflettori su San Patrignano e sull’esperienza avviata da Vincenzo Muccioli alla fine degli anni Settanta/inizio Ottanta ci ha pensato la serie televisiva documentaristica di Netflix. Titolo volutamente bilanciato: “SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano”. Molti hanno visto il filmato, ognuno si sarà fatto – o avrà maturato – la sua idea o convinzione. Come sempre, dallo sport (dove la pratica è diffusissima e gli allenatori del giorno dopo si contano a moltitudini) a tutte le vicende del vivere, c’è il partito degli innocentisti e c’è quello dei colpevolisti. Tutto si è enormemente velocizzato, ma forse è ancora troppo presto per le sentenze definitive della storia. Ci sono stati molti dibattiti sui mass media a ruota di Netflix. A uno di questi – alla RSI con Elisa Manca e Isabella Visetti, che hanno condotto la trasmissione con equilibrio e prudenza, frutto di sicura professionalità – sono stato invitato per aver scritto, insieme con la giornalista Patrizia Tollio un libro di avvicinamento all’esperienza di Muccioli, intitolato “Gioventù bucata”. Questo focus rientra in un contesto che non è limitato a San Patrignano ma è la tappa di un lungo viaggio compiuto negli anni Settanta-Ottanta per “esplorare” nei limiti del possibile e raccontare il pianeta giovani di quegli anni, i problemi di disadattamento e di emarginazione, molti dei quali sfociavano nell’alcol e nella droga, con tutti i molteplici scenari che si sono succeduti, con molte esistenze segnate e molte purtroppo perse. Non so quante furono le inchieste, di evoluzione in evoluzione, quante le serate informative dalle città fino alle valli più periferiche, ogni volta con molte voci di addetti ai lavori, spesso anche con partecipazione di tossicodipendenti ancora dentro la bufera oppure in navigazione di recupero. Questi percorsi hanno portato anche a:

  • alcuni convegni,
  • alcuni documentari radio-tv (da segnalare “E non poter fare niente” fatto con Mino Müller),
  • una messinscena teatrale con la Compagnia diretta dal regista Silvio Manini che fece il giro del Cantone, sostenuta dalla Sezione culturale Migros di allora, sempre con il titolo “E non poter fare niente”,
  • 14 libri pubblicati in Italia e nel Ticino, realizzati con l’intento di offrire chiavi di lettura per aprire le porte di quei diversi mondi fra continui cambiamenti.

Mutavano in rapida successione i tempi, le droghe e chi ne faceva uso. Chi può dire con esattezza quante furono le stagioni? La finalità era quella di offrire un quadro – per quanto possibile – realistico della situazione. Il panorama è stato molto vasto ed ha compreso ripetuti approfondimenti con protagonisti in prima linea per cercare di dare risposte e soprattutto un tetto a chi brancolava nelle nebbie degli stupefacenti: da don Luigi Ciotti (Gruppo Abele) a don Antonio Mazzi (Exodus), da don Pierino Gelmini (il Gabbiano, con una comunità anche alla Bavosa, vicino a Lugano), a don Gino Rigoldi, dal prof. Enzo Gori (Cascina Verde) al prof. Alberto Madeddu (CAD)… Vincenzo Muccioli è stato una tappa di questo lungo itinerario.

Giuseppe Zois